Archivi del mese: ottobre 2023

Tutti i Santi

«Esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,12).

Oggi è la festa di Tutti i Santi. Quando parliamo di Santi, corriamo il rischio di vederli come estranei alla nostra vita. Volendone esaltare le qualità, rischiamo di allontanarli dalla quotidianità, facendoli apparire come degli “extraterrestri”.
Abbiamo trasformato i santi in pesche sciroppate. Le pesche sciroppate sono pesche per quanto riguarda l’aspetto, la forma il colore, ma hanno perso il loro sapore, perché «ammazzato» dallo zucchero usato per sciropparle. I santi sono umani ma li abbiamo trasformati in supereroi!
I Santi non sono irraggiungibili.
Sono uomini e donne che hanno saputo spendere bene la loro vita, fatta di alti e di bassi, di errori e continue conversioni.
Riappropriamoci dei santi, tiriamoli giù dalle nicchie, “desantinizziamoli” e facciamoli entrare nella nostra vita: ci “aiuteranno” a realizzare in pieno il sogno che Dio ha fatto per noi, ciascuno di noi. Auguri.


Pesche sciroppate?!

Tutti i Santi – 1 novembre ’23

Prima lettura – Ap 7,2-4.9-14: Dopo queste cose vidi: ecco una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Dal Salmo 23: Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore. Seconda lettura – 1Gv 3,1-3: Vedremo Dio così come egli è. Vangelo – Mt 5,1-12a: Rallegrati ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Qualche giorno fa preparandomi per l’omelia, mi sono posto una domanda: «Perché la Chiesa sente il bisogno di celebrare i santi in un’unica festa, in un’unica soluzione?». Mi sono dato due risposte… Innanzitutto per ricordarci che tutti siamo chiamati alla santità, a essere santi, cioè separati dal mondo, capaci di guardare il mondo dalla giusta prospettiva, con gli occhi di Dio. La seconda risposta è che dobbiamo riappropriarci dei santi. Purtroppo quando parliamo dei santi, pensiamo subito a loro come ai primi della classe amati e premiati dal professore e che ci fanno sentire gli ultimi della classe, quelli sempre impreparati e che prendono sempre un bel 2. La santità non è un premio finale di buona condotta, data solo ai pochi che hanno la fortuna di essere proclamati santi dalla Chiesa. La santità è un incentivo iniziale, dato a tutti. Dio scommette su tutti noi, sulla nostra riuscita. Coloro che stanno sugli altari, e che oggi veneriamo e festeggiamo, hanno avuto la capacità di accorgersi e di fidarsi del dono, dell’incentivo che il Signore ha fatto loro. Hanno saputo spendere bene la loro vita, fatta di alti e di bassi, di errori e continue conversioni. Non sono irraggiungibili come i divi del cinema che camminano pavoneggiandosi sul «red carpet», né super eroi bacchettoni impossibili da imitare. Abbiamo trasformato i santi in pesche sciroppate. Le pesche sciroppate sono pesche per quanto riguarda l’aspetto, la forma il colore, ma hanno perso il loro sapore, perché «ammazzato» dallo zucchero usato per sciropparle. Ma vediamo cosa ci dona oggi la Parola di Dio. Nella prima lettura, Giovanni ci parla della visione di una moltitudine di salvati. Quindi la salvezza è per una moltitudine, è per tutti… Non è «per molti, ma non per tutti» come diceva una vecchia pubblicità. Il brano dell’Apocalisse ci dice poi che i salvati stanno diritti, in piedi dinanzi a Dio. È la dignità tipica dei figli,capaci di guardare il proprio padre negli occhi. E san Giovanni nella seconda letturaa ci ricorda che siamo figli di Dio realmente, non per «babbiare». E potendo chiamare Dio Padre, gli ricordiamo la sua responsabilità, lo inchiodiamo alle sue responsabilità: tutti possono chiamarsi fuori, Lui no. Giungiamo al vangelo… Gesù oggi si concede una gita fuori porta con i suoi discepoli. Se ne vanno su una collinetta poco fuori Cafarnao. La tradizione ha anche identificato concretamente il luogo. Ma credo non sia importante sapere, conoscere, il luogo fisico. Quel che importa è che dal monte delle Beatitudini, possiamo vedere la realtà della nostra vita con lo sguardo di Gesù, con la logica di Dio. Ad un certo punto il Signore si accorge che lo sta seguendo una folla di persone e capisce che vogliono ascoltare una parola liberante. Gesù si siede e comincia ad insegnare. Ripete per otto volte la parola «Beato». Che significa? Quando diciamo a qualcuno «Beato te!», gli stiamo dicendo «Sei una persona fortunata!», magari perché ha vinto il Superenalotto o ha un lavoro in cui sta tutto il giorno davanti a Facebook e si «ammucca» lo stipendio a più zeri. E gli stiamo dicendo che vorremmo fare a cambio. In realtà la parola «Beato» andrebbe tradotto con «Felice»… Ed è stupendo sapere che il sogno di Dio per noi è che possiamo essere felici, che possiamo realizzare i nostri e i suoi sogni. «Beati i poveri… Beati quelli che piangono… Beati i perseguitati… Beati gli insultati…» (Cfr. Mt 5,1-12a). Le beatitudini parlano dell’uomo secondo il progetto di Dio. Non sono una serie di cose da fare, ma modi di essere. Gesù ci sta semplicemente dicendo di guardare tutto con occhi diversi, come non avremmo mai pensato. «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). I poveri non di soldi, ma i poveri di spirito, quelli che hanno ancora la capacità di stupirsi (Cfr. Povia, Quando i bambini fanno oh), la capacità di riconoscersi precari. «Beati quelli che piangono, perché saranno consolati» (Mt 5,4). Il Signore conosce le nostre lacrime, anche quelle che nessuno vede. Gesù ci sta dicendo che essere suoi discepoli non è una specie di “assicurazione sulla vita”, non ci garantisce contro le difficoltà… Essere cristiani ci dà la certezza che nessun dolore rimarrà non lenito. «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). Beati quelli che affrontano a vita a testa alta, che si oppongono al male. Altro che «calati juncu ca passa la china»! «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). Quante ingiustizie nel mondo! Ma per fortuna quanti uomini e donne che non si arrendono e lottano perché si faccia la Parola di Dio. «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Misericordioso è chi ha il cuore grande capace di perdonare e di non serbare rancore. Misericordioso è chi sa riconoscersi come carne misericordiata, capace di farsi carne misericordiante. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Beati quelli che non cercano di apparire diversi da come sono, che non sanno cosa sia l’ipocrisia e sanno riconoscere la presenza di Dio nelle cose del quotidiano. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Beati quelli che si ostinano a cercare la pace, non come assenza di guerra, ma come dice Giovanni XXIII nella Pacem in terris come ricerca delle condizioni che permettano ad ogni uomo di essere uomo. «Beati i perseguitati a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10). Sembrano cose lontane dal nostro mondo occidentale… Ma è poi così? Quante persecuzioni vestite di incomprensioni? «Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male a causa mia, rallegratevi ed esultate, poiché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11s). Forse non abbiamo incontrato mai qualcuno che ridesse della nostra fede, ma magari qualcuno ci avrà chiesto con tono provocatorio: «Dove è il tuo Dio mentre il mondo va allo scatafascio?». Oggi, come dicevamo è la festa dei santi e le Beatitudini sono la loro carta d’identità… Ognuno di noi è sognato da Dio. Il nostro posto nel mondo è insostituibile. Il santo è colui che ha realizzato il sogno di Dio. Anche noi siamo chiamati a farlo. I santi sono i nostri fratelli maggiori, sono «fatti i carni» come noi, «sono di nove mesi» proprio come noi, sono peccatori come noi, ma che hanno accettato di farsi rivoluzionare da Dio. I santi non sono né semidei (non li adoriamo, ma li veneriamo…), né extraterrestri, né mezzi uomini costretti a rinunciare alla loro dignità. Togliamoli dalle nicchie. Riappropriamoci di loro. Riportiamoli alla quotidianità. Noi siamo quello che loro sono stati e noi siamo chiamati a diventare quello che sono. E noi? Dice Agostino «Si isti et istae cur non ego». Siamo chiamati alla santità. Rischiamo ora la nostra eternità. Scegliamo se volere Dio soltanto o Dio soprattutto. La santità è difficile, ma non impossibile. Buon cammino.


Trentesima Domenica per Annum

«Amerai il Signore… Amerai il tuo prossimo… Amerai te stesso» (Cfr. Mt 22,37.39).

Una nuova interrogazione per Gesù: i farisei stavolta tentano di metterlo alla prova sui comandamenti e su quale tra essi sia il più importante. Gesù non è impreparato, ha studiato al “catechismo” e da la risposta esatta: “Bisogna amare il Signore e l’unico modo per farlo è amare il prossimo, dopo avere amato se stessi”. Ma che significa amare il prossimo? Forse andarsene in giro a dire “Ti amo o T.V.B.” a chi si incontra? No, significa “solo” trattar gli altri come vorremo esser trattati: è questa la novità del cristianesimo, è questa la differenza cristiana. Buona domenica.


L’amore ha l’amore come solo argomento

XXX per Annum – 29 Ottobre 2023

Prima lettura – Es 22,20–26: Se maltratterete la vedova e l’orfano, la mia ira si accenderà contro di voi. Dal Salmo 17: Ti amo, Signore, mia forza. Seconda lettura – 1Ts 1,5c–10: Vi siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo figlio. Vangelo – Mt 22,34–40: Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso.

«Un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova» (Mt 22,35), non se ne può più! Ancora prove, ancora esami, ancora interrogazioni. Stavolta tocca ad un dottore della Legge. Lo mandano i Farisei, che, è chiaro, si sentono investiti dalla missione di “rompere” le scatole a Gesù. I Farisei vogliono farsi forti verso i Sadducei: «Voi non ci siete riusciti, vi siete fatti mettere a tacere da questo pseudo maestro. Adesso vi dimostriamo come è facile distruggerlo».

«Dimmi un po’, maestro, quale è il comandamento più importante, quello che non posso non rispettare?». Sembra di essere a scuola… Ecco una bella interrogazione… Scorriamo l’elenco… Vediamo se Gesù, oggi, è preparato… Comunque la domanda sembra banale… Ma credetemi, non lo è! Tutto per i Farisei è diventato sterile osservanza di precetti. Vivevano per la Legge, cercavano di capirla, studiarla, interpretarla e interpretandola l’avevano trasformata in un manuale d’istruzione pesantissimo, insopportabile (avete presente quei manuali d’istruzioni noiosissimi che si trovano in certi elettrodomestici?). Pensate che partendo dai 10 comandamenti, li avevano trasformati in 613 norme (365 proibizioni, una al giorno, e 248 precetti, uno per ogni osso umano)!

«Amerai il Signore… Amerai il tuo prossimo» (Mt 22,37.39). Bravo Gesù! Risposta esatta, perfetta. Nulla da aggiungere o da togliere. Ma attenzione, lo scriba aveva chiesto un comandamento, il maestro ne ha dati due. Capiremo il perché.

«Amerai…» (Mt 22,37.39). È un imperativo futuro. È un comando bell’è buono, quindi l’amore è un obbligo? Si deve amare a comando? No, l’amore è cosa naturale. Avete presente i rapporti genitori/figli e figli/genitori? Ma cosa è sto amore? È una parola di uso comune, ne sono intrise canzoni e film. La si pronuncia tanto da non perderla più sul serio. Ma Gesù oggi ci ricorda che l’amore è cosa seria. Il Signore ci sta dicendo di arrenderci al corteggiamento di Dio: «Non ti accorgi quanto Dio ti ama? E allora ama perché sei immensamente amato. Attenzione però, Dio non ti ama perché lo meriti, Dio ti ama per come sei, non per come vorresti essere».

«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente» (Mt 22,37). Per tre volte Gesù ci ripete “Tutto”. Non vuole dire che bisogna amare solo Dio, ma che è necessario amarlo senza mezze misure.

«Con tutto il tuo cuore» (Mt 22,37), il cuore indica la forza della concretezza, ma anche la gratitudine per ogni cosa che il Signore ci da.

«Con tutta la tua anima» (Mt 22,37), senza schizofrenia, dicendogli: «Non posso vivere senza di te!».

«Con tutta la tua mente» (Mt 22,37), non un’emozione dettata da un momento, ma il desiderio di conoscerlo, di capirci qualcosa in più di lui.

«Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,39). È scandaloso che Gesù metta l’amore per Dio sullo stesso pian o dell’amore per il prossimo. Gesù sta dicendo l’inscindibilità dei due comandamenti: amare Dio è pura astrazione se non si esprime nell’amore ai fratelli. Dio non se ne fa’ nulla del nostro amore, se non si manifesta verso i fratelli. Non posso dire di voler bene ad un amico se poi vado sotto casa e gli distruggo la macchina! Gesù sta dicendo pure che non c’è differenza tra i due comandamenti, sono due facce della stessa medaglia. Ma non sono intercambiabili, non si possono usare come cartucce compatibili. Devono esserci entrambi.

Ma che significa «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Mt 22,39)? Significa forse che dobbiamo andare in giro ad abbracciare e baciare tutti? Oppure che dobbiamo andare in giro a dire a tutti: «Ti amo o T.V.B.»? No, tranquilli, amici, non corriamo il rischio di finire catalogati come matti! Gesù ci dice come fare: «Amerai… come te stesso» (Mt 22,39). In altri termini, tratta come vuoi essere tu.

La cosa rivoluzionaria del Vangelo di oggi non è tanto che Gesù ha citato i due comandamenti che da secoli sono patrimonio d’Israele, ma che dica che questi due comandamenti siano, addirittura, simili. Gesù sta dicendo che bisogna amare il Signore e che l’unico modo per farlo è amare il prossimo. La novità cristiana non è la quantità d’amore, ma il modo in cui si ama, lo stile.

La differenza cristiana non è andare in chiesa, sgranare rosari e dare soldi ai poveri, no, miei cari, la differenza cristiana sta tutta nello scoprirsi amati da Dio e capaci di amare come Dio.


Du gust is megli che uan?!

XXIX per Annum – 22 ottobre 2023

Prima lettura – Is 45,1.4–6: Ho preso Ciro per la destra per abbattere davanti a lui le nazioni. Dal Salmo 95: Grande è il Signore e degno di lode. Seconda lettura – 1 Ts, 1,1–5b: Memori della vostra fede, della carità e della speranza. Vangelo – Mt 22,15–21: Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.

«Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21), questa è una di quelle frasi che ha lasciato un segno nella storia. Fiumi di inchiostro sono stati versati per interpretarla. Tutti se ne sono appropriati: i governi laici per dire che la Chiesa non deve fare politica, la Chiesa stessa per giustificare certe scelte fatte e anche i governi anticlericali per discolparsi per di pratiche quantomeno discutibili. Ma cerchiamo di capirci qualcosa…

Siamo nel tempio di Gerusalemme. Gesù ha appena parlato della gratuità della salvezza e degli ostacoli posti dai capi religiosi. I farisei sono messi per l’ennesima volta in imbarazzo. Se ne vanno «arraggiati» e si organizzano subito «per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi» (Mt 22,15). Reazione ovvia, quasi scontata. Ma qualcosa ci stupisce: l’alleanza con gli erodiani[1], i nemici dichiarati che diventano compari per complottare contro Gesù.

«Maestro, sappiamo che sei veritiero… che insegni la via di Dio… che non guardi in faccia nessuno» (Mt 22,16). Attenzione è tutto verissimo, ma queste parole in bocca a farisei e erodiani, trasudano falsità! «È lecito pagare il tributo?» (Mt 22,16). Una domanda semplice, apparentemente innocua, ma in realtà un bel trabocchetto, una domanda micidiale, una bella mela avvelenata! Comunque vada, Gesù è con le spalle al muro! Se il Maestro risponderà «Sì!», potranno accusarlo di essere nemico della sua gente e collaborazionista dei romani; se risponderà «No!» potranno accusarlo di essere un sovversivo anarcoinsurrezionalista e potranno denunciarlo ai romani.

Ma, ahiloro, Gesù ha capito tutto! Il Signore ha capito che la loro adulazione puzza. «Ma perché mi tentate?» (Mt 22,18). «Un vi siddia? Non sapete che vi posso fare mal sul serio?». «Mostratemi la moneta… Di chi è l’immagine?» (Mt 22,19s). «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Da restare senza fiato! Gesù dice «Non fate confusione… Non mescolate le cose». Non sta dicendo né che bisogna fare «fifty/fifty» tra Cesare e Dio, né che «du gust is megli che uan», ma sta dicendo che è necessario occuparsi prima del «di dentro», del progetto di Dio, il resto verrà di conseguenza, che è importante occuparsi prima delle cose ultime perché le cose penultime siano trasformate. Il Maestro ci sta suggerendo di riconoscere la signoria di Dio nella nostra vita per vivere con un’assunzione di responsabilità per non essere disincarnati. I rischi che si corrono sono di assolutizzare il relativo o di relativizzare l’Assoluto.

Rispetta lo Stato, dai a Cesare la moneta, ma non scordarti di Dio, restituiscigli la tua immagine e ricorda che la fede non è un fatto privato. Il cristiano è vero cittadino, ma da a Dio il giusto posto, non tempi accartocciati o ritagliati, ma il tempo prezioso (quello che magari si dà agli hobby…)

«Siamo servi di Dio e di nessun altro!» diceva don Milani, e ricordiamoci che siamo servi di un Dio venuto per servire.

Ricordiamoci che per il cristiano ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera, come dice la lettera a Diogneto, e che è questa la differenza cristiana.


Ventinovesima Domenica per Annum

«Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22,21).

Farisei ed Erodiani, gli uni antiRoma, gli altri proRoma, nemici giurati quindi, si ritrovano “compari” per complottare contro Gesù.Volendo metterlo in difficoltà,lo interrogano sulle tasse da pagare ai romani. La risposta di Gesù è splendida: “Restituite a Cesare e a Dio, a ciascuno il suo”. Attenzione però, Gesù non dice né di fare “fifty-fifty” tra Dio e Cesare, né che “du gust is megli che uan”, ma ci sta ricordando che vanno stabilite delle priorità e che è solo “pensando” alle cose ultime che trasformeremo le penultime. Buona domenica.


Importante o Urgente?

XXVIII per Annum  

Prima lettura – Is 25,6–10a: Il Signore preparerà un banchetto, e asciugherà le lacrime su ogni volto. Dal Salmo 22:Abiterò per sempre nella casa del Signore. Seconda lettura – Fil 4,12–14.19–20: Tutto posso in colui che mi dà forza. Vangelo – Mt 22, 1–14: Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Siamo nel tempio di Gerusalemme e Gesù sta “chiacchierando” con i capi dei giudei, con i boss d’Israele. Ad un certo punto Gesù parte con una nuova parabola e dopo tre settimane di proposte di lavoro (parabola dei lavoratori occasionali, parabola dei due figli e parabola dei vignaioli professionisti e assassini), finalmente si parla di una festa, di un matrimonio. All’epoca partecipare a una festa era molto vantaggioso perché durava una settimana, si poteva mangiare due volte al giorno e si aveva a disposizione un abito nuovo di zecca.

«Un re fede una festa di nozze per suo figlio» (Mt 22,2). Dopo aver organizzato tutto per bene, il re manda i servi a fare inviti. La risposta degli invitati è sorprendente: «Non possiamo venire!». «Ma come? È il matrimonio del principe, ci saranno i vip (vi ricordate il matrimonio di William e Kate) e tante cose buone da mangiare!». «No, grazie!». Il re, ovviamente ci resta maluccio, ma non si scoraggia, ne tanto meno smonta baracca e burattini. Anzi… Il re rilancia pesante: «L’invito era per molti? Adesso sarà per tutti! Andate ai crocicchi delle strade» (Cfr. Mt 22,9). I servi «trovarono cattivi e buoni» (Mt 22,10). Attenzione, non si è chiamati perché buoni, ma si è buoni perché chiamati. Ci sono gli invitati, il pranzo è pronto, gli sposi sono splendidi: si aprano le danze!

Ma qualcosa non va… «Un uomo non indossava l’abito nuziale» (Mt 22,12). Il re si accorge che uno degli invitati non indossa l’abito della festa e si arrabbia parecchio. «Ma come? Ha invitato chiunque e adesso fa storie per uno che non ha il vestito adatto? Ma per favore!». L’uomo senza abito e chi, chiamato da Dio, invitato alla sua festa, continua a camminare per i fatti propri, a contare sulle proprie forze e a rifiutare il dono di Dio, dibattuto tra «Dio soprattutto o Dio soltanto». «Amico…» (Mt 22,12), il re prima di cacciare l’invitato riottoso, tenta di capire il perché del suo comportamento e delle sue scelte. Ma quello «ammutolì» (Mt 22,12).

Ma perché tanta durezza? Per mettere in chiaro che chi vuole entrare nel regno, non può «babbiare», ma deve fare sul serio.

Incontrare Dio è una festa, ma come abbiamo ridotto questa festa noi cristiani? È ancora una festa o piuttosto un funerale? Siamo forse troppo indaffarati per gioire… O siamo in preda alla routine del credere.

Indossiamo la veste… Dio ci ama come siamo… Ma ci vuole come ci ha sognati… Si può rifiutare l’invito perché la libertà è l’altro nome dell’amore. L’invito alla salvezza è qualcosa di serio: non permette distrazioni o esitazioni, né tantomeno ci si può dire arrivati.

Nella parabola chi rifiuta l’invito ha qualcosa di urgente da fare, qualcosa che reclama presenza. Preferiscono l’urgente all’importante. Gesù oggi ci dice che è necessario stabilire delle priorità, tenendo ben presente che l’essenziale è più importante del contingente.

Cari cercatori di Dio, il Signore continua a invitarci a una festa: a noi la scelta…


Ventottesima Domenica per Annum

«Molti i chiamati, pochi gli eletti» (Mt 22,14).

Un re organizza una festa per le nozze del figlio e invita, a più riprese, parecchia gente. Non tutti però sono interessati a partecipare e preferiscono declinare l’invito, dicendosi impegnati in cose, forse meno importanti, ma certamente più urgenti. Il Signore continua ancora oggi a invitare alla sua festa: tocca a noi decidere se partecipare o meno, perché la libertà è l’altra faccia dell’amore. Non ci accada di tralasciare l’importante per l’urgente e diciamo, con la nostra vita, che è veramente bello essere di Cristo. Buona domenica.


Ventisettesima Domenica per Annum

«Il padrone della vigna che farà a quei vignaioli» (Mt 21,40).

Il Vangelo ci parla oggi di un padrone e della sua vigna, che, ad un certo punto, decide di affidare a dei contadini perché la coltivino.
I patti sono chiari: al momento della vendemmia si dividerà il raccolto.
Ma i contadini vengono meno ai patti e giungono anche ad uccidere il Figlio del proprietario, perché così, si dicono, erediteranno la vigna (ma dove lo hanno trovato il manuale di diritto su cui hanno studiato, nelle patatine?).
I contadini vorrebbero essere furbi, “fari i scairti”, ma finiscono per essere cacciati e diventano scarti!
Anche noi, spesso pensiamo che possiamo vivere tranquillamente la nostra vita senza Dio, cacciandolo dalla nostra vigna.
Per fortuna il Signore è ostinato nella volontà di salvarci e tanto più cresce il nostro rifiuto, tanto più cresce il suo amore per noi.


Ventiseiesima Domenica per Annum

«Le prostitute e i pubblicani vi passano avanti» (Mt 21,31).

Con questa affermazione così forte, Gesù “preannuncia” ai capi religiosi d’Israele (e a tutti quelli che, in ogni epoca,si ritengono giusti) che subiranno un clamoroso sorpasso!
Il Signore polemizza con chi, ieri e oggi, si fregia di avere una morale ineccepibile, ma difetta della capacità di mettersi in discussione!
Gesù prova, ancora una volta, a presentarci un Dio che, nonostante i nostri errori, è convinto, che valga la pena scommettere sempre su di noi.
Il Signore ci aiuti a prendere coscienza che non siamo infallibili, che non possiamo né autoassolverci né autosalvarci, e, sopratutto, che senza di lui siamo proprio «ammare»!

Buona domenica.