Archivi del mese: novembre 2022

Immersi o sommersi?

I di Avvento – 27 Novembre 2022

Prima lettura – Is 2,1-5 Il Signore unisce tutti i popoli nella pace eterna del suo Regno. Dal Salmo 121: Andiamo con gioia incontro al Signore. Seconda lettura – Rm 13, 11-14a La nostra salvezza è vicina. Vangelo – Mt 24, 37-44 Vegliate, per essere pronti al suo arrivo.

Auguri, buon anno! Tranquilli non sono né ubriaco, né impazzito. Oggi è il capodanno dell’anno liturgico, dell’anno della Chiesa. Inizia oggi un nuovo anno in cui siamo invitati a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, alla sua vita e al suo insegnamento. È bellissimo che inizi un nuovo anno. Abbiamo la possibilità di ripartire, di mettere nelle mani di Dio le nostre ferite, le nostre delusioni. Non importa quanta fragilità abbiamo sperimentato, non contano quante e quali siano state le delusioni accumulate, il Signore ci chiama a ripartire, a resettare la nostra vita. Il primo appuntamento del nuovo anno è l’Avvento (dal latino ad ventus, venuta, avvicinamento, arrivo), un tempo di quattro settimane per prepararsi al Natale, anche se guardandosi attorno sembra già Natale (luci, addobbi, spot di panettoni, torroni e pandori). È inutile dire che Natale non è questo! Natale sarà Natale solo quando cambierà le nostre scelte quotidiane, inciderà nella nostra vita. Altrimenti il nostro rischia di essere solo un giocare a «Gesù che nasce un’altra volta». L’Avvento ha lo scopo di accompagnarci, di svegliarci, di renderci lucidi. Non possiamo correre il rischio di giungere al Natale quasi senza rendercene conto, finendo per lasciarci scivolare il tempo addosso. Nelle quattro settimane di Avvento, scopriremo che Dio non si è ancora stancato di noi e, se lo conosco un po’, non si stancherà tanto facilmente! L’Avvento è dunque un sostare in silenzio per capire una presenza, è un tempo di attesa. Ma l’uomo moderno è ancora capace di attesa? O forse si accontenta dell’immediato e del «tutto e subito»? Eppure, nonostante l’uomo di oggi sia consapevole delle proprie capacità, abbia ottenuto grandi vittorie e abbia visto realizzarsi tanti suoi progetti, per certi versi non si vedono grandi passi avanti. L’uomo continua a interrogare gli astri per conoscere il futuro, continua ad affidarsi ai maghi per risolvere i propri problemi o per avere supplementi di energia, continua a fuggire in mondi artificiali (droghe e alcool). È chiaro che l’uomo porta nel cuore un’attesa, ma forse non l’ammetterà nemmeno a se stesso e preferirà tenersi un vuoto incolmabile. L’uomo di oggi è come Didi e Gogo, i due mendicanti protagonisti dell’opera teatrale di Samuel Beckett, «Aspettando Godot». I due, di Godot, non sanno nulla, non lo conoscono neppure e non sanno quando avverrà l’incontro. Consumano la loro vita nell’attesa, annaspano tra speranze irrealizzabili e fanno progetti con la stessa consistenza dei castelli di sabbia che i bimbi fanno, d’estate, in riva al mare. Non è forse questa l’attesa dell’uomo d’oggi? Ma l’attesa del cristiano non è senza senso! Il cristiano deve «solo» riconoscere i segni della presenza di Dio nella storia, nel mondo, rifiutando chi propone salvezze «low cost». Il Vangelo di oggi, anche se non si direbbe, è improntato alla speranza e il Signore ci suggerisce di non farci sorprendere, di non farci trovare impreparati quando lui verrà. Ambientiamo i fatti… Gesù sta uscendo dal Tempio, quando i suoi discepoli lo invitano a bearsi, a rifarsi gli occhi, dinanzi a quella maestosità. Il suggerimento dei suoi diventa occasione per Gesù di una lunga riflessione su ciò che veramente conta, ricordando ai discepoli che anche il Tempio che appare indistruttibile, non solo sarà distrutto, ma verrà anche raso al suolo. A quel punto i discepoli, preoccupati del futuro, vorrebbero sapere cosa accadrà, ma soprattutto quando: «Dai Gesù, metti una bella etichetta: da consumarsi preferibilmente entro…». Nel testo che abbiamo ascoltato, il Maestro di Nazareth ci dice di stare attenti e di non sbagliare la modalità della nostra attesa. Attraverso tre immagini, ci invita a restare ai nostri posti e a non venire meno al nostro impegno. «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito e non si accorsero di nulla, così sarà anche la venuta del Figlio di dell’uomo» (Mt 24,37-39). Ma scusate, cosa facevano di male? Niente, erano solo impegnati a vivere… La loro colpa? Essere talmente presi, inghiottiti, fagocitati dagli eventi, da non accorgersi di nulla. Gesù ci dice: «State attenti, rendete profondo ogni momento, siate immersi nel quotidiano, ma non finitene sommersi». «Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata» (Mt 24,4-41). Queste parole non devono essere prese letteralmente. È un modo per indicare la sorte diversa che ognuno di noi riceverà, secondo la vita che avrà vissuto. Queste parole significano che alcuni saranno presi, cioè riceveranno la salvezza, e altri non la riceveranno perché l’hanno rifiutata da tempo. La salvezza è una proposta di salvezza per tutti, ma non è di tutti purtroppo, perché accettare o rifiutare sono frutti di libera scelta. «Se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la porta» (Mt 24,43) Certo l’accostamento è forte, irriguardoso forse… Il Signore che torna paragonato a un ladro! Ma queste parole servono a ricordarci che non sappiamo il giorno e l’ora in cui tornerà, ma sappiamo, ne abbiamo certezza, che verrà. Quando verrà si distinguerà un «prima» e un «dopo» e il «dopo», il nostro «dopo», dipenderà dal nostro «prima». Gesù rincara la dose…«Tenetevi pronti» (Mt 24,44). Non è una minaccia, per fortuna. È «solo» un suggerimento per non correre il rischio di vivere senza attenzione, cioè incapaci di rendere profondo ogni momento. A ognuno il Signore chiede, fin da ora, di essere vigilanti, di saper leggere la realtà con lo sguardo rivolto all’eternità, sapere ritrovare una certa interiorità. Il Maestro vuole attirare la nostra attenzione sull’unico incontro sull’appuntamento, in fondo alla nostra storia personale, verso cui ciascuno di noi si sta muovendo, cioè quello con la morte. Gesù ci suggerisce di impostare la nostra vita come l’attesa di un incontro con Qualcuno. Ma noi attendiamo il Signore? Desideriamo veramente incontrarlo? Non rispondiamo subito, in maniera istintiva. Dalla risposta, vera, a questi interrogativi, deve nascere un comportamento quotidiano capace di rendere conto della speranza che ci abita. Il fatto che Gesù non ci dia una data precisa per la realizzazione delle promesse di Dio, non è un modo per tenerci sulle spine, anzi al contrario sembra dirci: «Invece di essere impazienti e lamentarvi, tenete occhi e cuore aperto, perché ogni giorno potrebbe essere quello giusto. State con il radar acceso, tenete gli occhi spalancati. State seduti sul bordo della sedia, pronti ad alzarsi e a pagare di persona. Cogliete anche il minimo segno di speranza». Ignoriamo il tempo della fine, ma viviamo il tempo in cui non dobbiamo restare seduti ad aspettare, ma in cui dobbiamo impegnarci a vivere, senza chiasso, con semplicità, il Vangelo nella vita quotidiana. Corriamo il pericolo, serio, di passare il tempo a nostra disposizione, quello dell’esistenza senza decidere, senza decidersi per Gesù.


Prima Domenica di Avvento – A

«Non si accorsero di nulla» (Mt 24,39).

Gesù tenta di scuotere le nostre coscienze dal letargo per non lasciarci travolgere dal “diluvio” delle sciocchezze. Che anche questo Avvento non passi inghiottito da preparativi e ricerche spasmodiche di regali,diventando tempo sprecato…Potremmo anche celebrare cento Natali, senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori! Possa incontrare il Dio fattosi incontrabile. Buona I di Avvento.


Trentaquattresima per Annum – Cristo Re dell’Universo

«Sei il re dei Giudei, salva te stesso» (Lc 23,39).

Oggi è la festa di Cristo Re. Ma che razza di re è Gesù? La sua regalità ci spiazza e contraddice la nostra idea di re… E un re senza trono e senza scettro, che regna nudo dal legno della croce. Lo vogliamo davvero un re e un Dio così? Non andrebbe meglio un Dio “interventista” nei fatti della nostra vita? Che te ne fai di un re “perdente”? Di un debole che si schiera coi deboli? E questo il re che vuoi? Attento alla risposta che dai… C’è il rischio di doversi convertire… Per davvero!


Malý princ

Le mie copie de Il Piccolo Principe: Slovacco

de Saint-Exupery Antoine, Malý princ, 2020, Slovart – Bratislava, 94p., rilegato.
Dono di Salvatore.


Mondo da consumarsi preferibilmente entro…

XXXIII per Annum – 13 Novembre 2022

Prima lettura – Ml 3, 19-20 – Sorgerà per voi il sole di giustizia. Dal Salmo 97: Il Signore giudicherà il mondo con giustizia. Seconda lettura – 2 Ts 3, 7-12 – Chi non vuole lavorare, neppure mangi. Vangelo – Lc 21, 5-19 – Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime.

La scorsa domenica, se vi ricordate, avevamo lasciato Gesù a chiacchierare «amabilmente» con i sadducei, a proposito della Risurrezione dei morti. Oggi il Signore è al Tempio di Gerusalemme. Il luogo sacro è affollato di gente, di pellegrini saliti nella Città santa in occasione della Pasqua. In un momento di relax, i discepoli di Gesù ammirano lo splendido edificio, reso, solo pochi decenni prima, ancora più bello da Erode il grande. Ma il Maestro spegne subito ogni entusiasmo: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (Lc 21,6). Certo che è veramente strano sto Gesù! È oltreché un rompiscatole pazzesco, anche un guastafeste. I discepoli sono pieni di entusiasmo («si stannu arrifriscannnu l’uocchi») perché il Tempio è veramente bello (i marmi e gli ori lo facevano sfavillare e lo rendevano visibile anche a diversi chilometri di distanza) e lui, munito di estintore, arriva a spegnere ogni gioia. Gesù non vuole discepoli distratti dalle cose vane o addormentati, ma li vuole attenti a quello che la storia presenta attorno a loro. «Maestro, quando accadranno queste cose?» (Lc 21,7). Subito i discepoli si preoccupano del futuro, vorrebbero sapere cosa accadrà, ma soprattutto quando. Era opinione comune che il Tempio sarebbe stato indistruttibile, perché segno della fedeltà di JHWH verso Israele, pertanto è naturale lo sbigottimento dei discepoli, che, terrorizzati, chiedono quando avverrà la distruzione del Tempio. Scrutare il futuro, da che mondo è mondo è connaturale all’uomo. I Greci e i Romani interrogavano le Sibille, gli Ebrei cercavano di evocare i morti. Poi è stata la volta di Nostradamus e delle sue profezie. Anche oggi in molti si interrogano su «cosa sarà di noi»… E per darsi una risposta, parecchi consultano gli oroscopi (che non mancano in nessun quotidiano, tranne, ovviamente su Avvenire e sull’Osservatore romano…), altri si rivolgono a maghi, cartomanti e imbroglioni affini. Ci sono poi diverse sette pseudo religiose che annunciano e riannunciano la fine del mondo a scadenze dilazionate. L’altr’anno di questi tempi andava molto di moda la profezia dei Maya secondo cui il 21 dicembre 2012, sarebbe finito il mondo. Ma torniamo al Vangelo… Gesù invece di rispondere sul quando finirà il mondo, preannuncia persecuzioni, catastrofi e distruzioni, invitando i discepoli a non disperare, a mantenere salda la fede in Cristo. Gesù sembra dire: «Una fine ci sarà, poiché tutto quello che ha un inizio, ha necessariamente una fine, ma voi non preoccupatevi di questo, preoccupatevi invece sul come mantenere la vostra fede in me». E il Maestro dice come sia possibile che la fede resti salda: essere in grado di riconoscere, di discernere i falsi profeti, testimoniare il Vangelo e perseverare nella prova. Gesù sta dicendo chiaramente ai suoi di non accampare scuse per sfuggire al presente, alle responsabilità, ma di vivere l’oggi con impegno e attenzione, senza farsi distrarre. I discepoli si sentono dare una risposta che non è certo quella che desiderano. Vorrebbero che Gesù, calendario alla mano, desse un appuntamento certo, una scadenza certa con giorno e orario, così da potersi organizzare adeguatamente. Ci vorrebbe la data di scadenza: mondo da consumarsi preferibilmente entro… Loro chiedono notizie circa la fine del mondo, e lui risponde parlando del fine del mondo, del senso della storia. Gesù dice: «Cari amici, non preoccupatevi di quando sarà la fine, ma vivete il presente, nella certezza che questo mondo va verso un fine, non precipita nel nulla, ma nelle braccia di Dio. Il vostro problema non è il “quando”, ma il “come” attendere che questo mondo giunga alla fine». Il fatto che Gesù non ci dia una data precisa per la realizzazione delle promesse di Dio, non è un modo per tenerci sulle spine, anzi al contrario sembra dirci: «Tenete occhi e cuore aperto, perché ogni giorno potrebbe essere quello giusto. State con il radar acceso, tenete gli occhi spalancati. State seduti sul bordo della sedia, pronti ad alzarsi e a pagare di persona. Cogliete anche il minimo segno di speranza». Il credente non può fuggire dalla storia, cercando facili sicurezze o attaccandosi a ciò che non è Dio, ma deve starci dentro per accettare difficoltà e contraddizioni. Ignoriamo il tempo della fine, ma viviamo il tempo in cui non dobbiamo restare seduti ad aspettare, ma in cui dobbiamo impegnarci a vivere, senza chiasso, con semplicità, il Vangelo nella vita quotidiana. «Invece di preoccuparsi per quello che accadrà domani, gli uomini farebbero meglio a interrogarsi su quanto fanno oggi» diceva Schmitt ne Il Vangelo secondo Pilato. E Bonhoeffer rincara la dose che «l’attesa per le cose ultime, implica l’impegno per le penultime». Ma allora dobbiamo vivere, come si diceva una volta, col «memento mori – ricordati che devi morire»? No, tranquilli, anche perché mi pare sia un terrorismo spirituale che ci distrae dalla gioia di vivere. E poi se si vive senza peccato solo per paura di essere giudicati male da Dio, si finisce per non amare il Signore. E allora che si fa? Qualche anno fa Vasco Rossi cantava: «voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha» (Vasco Rossi, Un senso). E qualche secolo prima Shakespeare nel suo Macbeth faceva dire a uno dei personaggi: la vita « È un racconto | narrato da un idiota, pieno di suoni e furore, | significante niente » (William Shakespeare, Macbeth, atto V, scena V, vv. 17-27). Per noi cristiani, la vita, la storia hanno un senso e ci è stato rivelato proprio da Gesù: sarà lui a chiudere il capitolo della nostra vicenda terrena e aprire quello definitivo della vita eterna. Dopo la soglia dell’ultima pagina del calendario della storia, non ci sarà il nulla, ma l’eternità di Dio. Ricordiamoci di essere, finché le stelle staranno in cielo (Cfr. Kristin Harmel) in una «collocazione provvisoria», stiamo vivendo una tappa intermedia della nostra storia, siamo sulla terra, ma siamo fatti di cielo e per il cielo. Non rifuggiamo la vita, ma non restiamole nemmeno aggrappati.


Trentatresima Domenica per Annum

«Avete l’occasione di dare testimonianza» (Lc 21,13).

I discepoli chiedono a Gesù quando finirà il mondo. Vorrebbero la data di scadenza: “Mondo da consumarsi preferibilmente entro…”. Gesù risponde dicendo non QUANDO finirà, ma COME prepararsi a quel giorno: tenendo cuore e occhi aperti perché ogni giorno potrebbe essere quello giusto. Siamo in collocazione provvisoria perché pur essendo sulla terra, siamo fatti di cielo e per il cielo. Buona domenica.


Trentaduesima Domenica per Annum

«Dio non è dei morti, ma dei viventi» (Lc 20,38).

I sadducei, aristocratici con la puzza sotto il naso, che non credono nella possibilità che si possa risorgere, provocano Gesù e gli chiedono di spiegare in cosa consistono la risurrezione e l’aldilà. Il Maestro risponde ricordando che non importa sapere come è organizzato l’aldilà, ma è fondamentale il vivere l’aldiquà con la certezza che Dio, il Dio dei viventi, non dei morti, non lascerà che a vincere sia la morte. Crediamo in questo Dio? Crederemo in Lui se la nostra fede sarà ricerca e non abitudine, desiderio e non dovere. Potremo dire di credere in Lui se accoglieremo, senza se e senza, la sua Parola che sconquassa, che ci “rivolta come un calzino”, che ci fa vivere da vivi. Buona domenica.


Senza scadenza

XXXII per Annum – 6 Novembre 2022

Prima lettura – 2 Mac 7, 1-2. 9-14 – Il re dell’universo ci risusciterà a vita nuova ed eterna. Dal Salmo 16: Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto. Seconda lettura – 2 Ts 2, 16 – 3, 5 – Il Signore vi confermi in ogni opera e parola di bene. Vangelo – Lc 20, 27-38 – Dio non è dei morti, ma dei viventi.

Si è concluso il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, iniziato in Lc 9,51. Dopo l’ingresso in città, accolto da tanti fan e sostenitori (Lc 19,29-44), il Signore ha scacciato i mercanti dal Tempio, riprendendo così «possesso» della casa del Padre (Lc 19,45-48). Dopodiché il Maestro di Nazareth diventa bersaglio del fuoco incrociato dei suoi avversari di sempre: scribi, farisei, sacerdoti, dottori della Legge e sadducei. Contro di lui si scatena l’offensiva finale. I primi a farsi sotto sono i capi dei sacerdoti e i dottori della Legge che gli pongono una questione di fondo: «Dicci con quale autorità tu fai queste cose?» (Lc 20,2). Il Signore disbriga la pratica con una certa facilità (e tanta ironia) e di rimando gli racconta la parabola dei vignaioli ribelli e omicidi (Lc 20,9-19). Finito con i capi dei sacerdoti e con i dottori della Legge, è la volta degli erodiani e dei farisei, nemici giurati che si ritrovano alleati contro il comune nemico. Stavolta, chiedendogli la sua opinione a proposito del pagamento delle tasse a Roma (Ci è lecito o no pagare il tributo a Cesare? – Lc 20,22) vorrebbero trascinare Gesù sul terreno politico, in modo da comprometterlo o davanti ai romani o davanti ai giudei. Ma Gesù, per la seconda volta, riesce con facilità a sbrigare la questione: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Lc 20,25). Terminato con erodiani e farisei, ecco scendere in campo i sadducei che ponendo la questione della risurrezione dei morti (il Vangelo che abbiamo appena ascoltato), portano Gesù sul terreno religioso, nel tentativo e nella speranza di trovare qualcosa per accusarlo. Innanzitutto è necessaria una scheda di presentazione dei sadducei. I sadducei sono un’importante corrente religiosa, formata dagli aristocratici delle antiche famiglie benestanti d’Israele. Discendono da Sadoq, sacerdote del Tempio con Davide prima e Salomone dopo. A differenza dei farisei e scribi, erano aperti alla cultura ellenistica e al mondo romano. I sadducei non credevano alla risurrezione, perché stavano così bene in terra che non avevano bisogno di pensare alla vita successiva. Ma soprattutto rifiutano la risurrezione perché nell’ambito della filosofia ellenistica, la risurrezione corporea incontrava poco favore, poiché c’era il disprezzo della la materia. «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie?» (Lc 20,28-33). È chiaro che lo scopo della domanda dei sadducei sia di mettere in imbarazzo Gesù, cercando di dimostrare, con un esempio concreto, quanto ridicola sia l’idea della risurrezione e quanto essa sia estranea alla Scrittura. Il caso che i sadducei sottopongono è parecchio strambo: c’è una donna che ha avuto sette mariti, «s’asciucò setti mariti», uno dietro l’altro. A questo punto, ci chiediamo, ma perché tutti e sette i fratelli se la sposano? La risposta è semplice: devono rispettare la Legge del Levirato (dal latino Levir, cognato). Questa norma, risalente a Mosè, stabiliva che se un uomo sposato moriva senza avere figli, un fratello dove sposare la vedova, per dare una discendenza al fratello passato a miglior vita. La Legge del Levirato garantiva che il nome di nessuno fosse estinto da Israele: l’unica cosa che conta è la conservazione dell’asse ereditario, il rendere eterna la propria esistenza attraverso la nascita di un figlio. La domanda che i sadducei fanno è molto più complicata di quanto appaia. Essi chiedono: «la risurrezione c’è o non c’è? E se c’è, con quale corpo risorgeremo? Ma soprattutto i legami terreni si riproporranno?». Probabilmente anche noi ci siamo posti domande simili, magari dopo che, situazioni della nostra vita, come la morte, hanno smascherato la fragilità delle nostre convinzioni religiose. «Risorgeremo? Se sì, dove? Dove troveremo tutto lo spazio in cui poter stare tutti insieme? Se sì, con quale corpo? Quanti anni avremo?». I sadducei, volendo ridicolizzare la questione della risurrezione, presentano la vita oltre la morte come un ricalco della vita terrena, una sua proiezione, una fotocopia, governata dalle stesse regole istituzionali di questo mondo. «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito, ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né mogli né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio» (Lc 20,34-36). Gesù sposta il livello della discussione: «Cari amici sadducei, dopo la morte, gli uomini, si trovano in una situazione del tutto nuova: sono uguali agli angeli». In altri termini, il Signore sta dicendo che la vita che viene da Dio è una vita che è per sempre, che non ha una seconda scadenza, e non occorre mettere al mondo un figlio per renderla eterna. La risurrezione non è un prolungamento dell’esistenza presente, né la rianimazione di un cadavere. Ma è chiaro che Gesù pur parlando dell’aldilà non è per nulla interessato a dirci come è l’aldilà: al Signore interessa che possiamo vivere bene l’aldiquà, nella prospettiva di un aldilà diverso. Se non avessimo la speranza che la vita è più forte della morte, saremmo chiusi e oppressi dall’angoscia del singolo momento. Credere nella risurrezione non è guardare ad un futuro lontano, ignorando il presente, alienandosi dall’oggi, ma è esattamente il contrario. È credere nella vita, è impegnarsi perché questa vita non finisca annacquata. Ma chi ci garantisce che la vita dopo la morte ci sia qualcosa? E chi ci garantisce che questa resurrezione ci sarà? Diceva mio nonno: «dal mondo della verità non è mai tornato nessuno. Tre sono le possibili risposte: o non c’è nulla, o non si sta bene e non vogliono rovinarci la sorpresa, o, infine, si sta benissimo, ma non vogliono ugualmente rovinarci la sorpresa». Le garanzie necessarie a credere che ci sia la risurrezione ce le ha appena date Gesù: «Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono in lui» (Lc 20,38). Il Maestro si rifà a Es 3,6, al testo che racconta l’incontro tra Dio e Mosè, al roveto ardente, che è un testo su Dio e non sulla risurrezione. Dio si presenta a Mosè come l’esistente (in ebraico ehjeh). Gesù dice quindi: «Se è vero, come è vero, che Dio è vivente ed è fedele nel suo amore verso l’uomo, può mai abbandonarlo in potere della morte? Se Dio è Dio di Abramo, Isacco e di Giacobbe e quegli uomini non esistono più, Dio stessa cessa di esistere!». Il Signore, lo abbiamo detto, non si preoccupa di dirci come sarà la risurrezione, ma ci garantisce che ci sarà. Siamo come i bambini che devono ancora nascere e così come a loro non possiamo spiegare la vita, noi, non possiamo capire la vita che non finisce, quella senza scadenza. «Il vero problema, sembra dire Gesù, non è quello di porsi domande sul come della risurrezione e della vita futura, ma piuttosto, chiedersi per chi o per cosa vivo il mio qui e ora».