Archivi del mese: febbraio 2023

Prima Domenica di Quaresima – A

«Per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1).

Gesù, prima di percorrere le vie del Vangelo, “sceglie” il deserto e qui fa i conti con le provocazioni e le sfide del diavolo, uscendone a testa alta e senza perdere l’equilibrio. Che la nostra Quaresima sia “fatta” di quaranta giorni di opportunità per “riequilibrarci” in una vita che, a Dio, non preferisce nulla.


Gesù al crush test

I domenica di Quaresima – A – 26 Febbraio 2023

Prima lettura – Gn 2, 7-9; 3, 1-7 – La creazione dei progenitori e il loro peccato. Dal Salmo 50: Perdonaci, Signore: abbiamo peccato. Seconda lettura – Rm 5, 12-19 (forma breve: Rm 5, 12.17-19) – Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia. Vangelo – Mt 4, 1-11 Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.

Mercoledì scorso, con il segno dell’imposizione delle Ceneri ha avuto inizio il tempo di Quaresima. Quello di Quaresima è un tempo importante, un tempo di grazia, occasione di conversione, momento in cui dobbiamo distogliere i nostri sguardi dagli idoli e dagli amori da nulla che coltiviamo e tornare finalmente all’essenziale, per incontrare ancora Dio. Il Vangelo di oggi credo ci dia il programma della e per la Quaresima. «Gesù fu condotto dallo Spirito santo nel deserto, per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1). Il Signore ha appena ricevuto il battesimo da Giovanni Battista e lo Spirito lo fa’ andare nel deserto, per provare fin da subito la sua vocazione messianica, nuova di zecca. È il suo crush test! Gesù entra nel silenzio del deserto per decidere quale Messia essere: un guerrigliero liberatore, così come lo attende Israele o il messia dei poveri, degli oppressi degli infelici, il salvatore mandato da Dio? Il Signore è nel deserto, quindi. Il deserto è il luogo delle assenze di tante inutili presenze, luogo in cui si può cogliere, meglio che altrove, la presenza di Dio. Il deserto è il luogo del ritorno all’essenzialità, il luogo in cui «mettere a fuoco» le proprie scelte. «Dopo aver digiunato, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò» (Mt 4,2-3). Il diavolo vuole colpire sul nascere la missione a cui Gesù è chiamato, ma non si presenta come un avversario che lo tenta al male, al peccato, ma come una sorta di collaboratore, capace di mettergli a disposizione tutti i mezzi per affermarsi come messia. Più che di tentazioni dovremmo parlare di tentativi di seduzione, o addirittura di suggerimenti, di consigli per gli acquisti. «Caro Gesù, vuoi cambiare il mondo? Vuoi salvarlo? Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli, col mio aiuto, pane, potere, spettacolo e vedrai che ti seguiranno». Il diavolo non ha intenzione di spaventare Gesù, al contrario lo vuole conquistare, cercandolo di ammaliarlo con voce gentile e suadente. «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane» (Mt 4,3). Satana non mette, come sembrerebbe dal testo italiano, in dubbio la figliolanza divina di Gesù, anzi… Il diavolo dice: «Giacché sei il figlio di Dio, usa le tue capacità, le tue prerogative, i tuoi superpoteri a tuo vantaggio. Rendi tutto facile alle persone, nutile, sfamale, soddisfa i loto bisogni. Fatti messia nutriente!». Non si tratta semplicemente di soddisfare la fame, ma di usare la potenza di Dio a proprio vantaggio, per fare successo e carriera. Il Signore è messo di fronte a un bivio: risolvere i problemi del mondo, oppure sfamare l’uomo con la Parola di Dio, rischiando l’impopolarità. «Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo”» (MT 4,4). Gesù non risponde dicendo semplicemente «non voglio», ma si fa forte della Parola di Dio: «Se l’uomo vivrà di Parola di Dio, ci sarà pane per tutti! Voglio che la gente ami Dio per ciò che Dio è, non per ciò che Dio dà». «Il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei il Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: ‘Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra’”» (Mt 4,5-6). Il diavolo non demorde, torna all’attacco per la seconda volta, alzando la posta in gioco. «Caro Gesù, tu sei il messia, e questo lo abbiamo capito. Che ne pensi di fare un segno grandioso? Fai quello che il popolo si aspetta (Cfr. VI Libro di Esdra): un messia che arriva dal cielo, che si manifesta in maniera repentina. Tutti ti crederanno!». Il demonio provoca Gesù: «La via migliore per essere messia è quella di spettacolarizzare il tutto. Mostrati invulnerabile, invincibile, una sorta di Superman e vedrai quanti fans avrai. Fatti messia showman!». Il tentatore dimostra anche di avere una buona conoscenza della Scrittura e cita il salmo 91 e questo ci dice, se ce ne fosse il bisogno, che non basta conoscere la Bibbia per fare la volontà di Dio. «Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: ‘Non metterai alla prova il Signore Dio tuo’”» (Mt 4,7). Neanche stavolta il Signore cede. Non vuole imporre la sua messianicità con gesti straordinari, per non costringere a credere. Dio, il Dio dei cristiani, non vuole possedere nessuno, non vuole schiavi ossequienti, o scimmiette ammaestrate, ma figli che siano liberi, generosi, amanti. Il Cristianesimo non può imporsi con magie spettacolari, non sarebbe rivelazione. Il Cristianesimo non può basarsi su una fede miracolistica, che pretende invulnerabilità, ma su una fede che si affida a Dio, anche quando questi sembra lontano, assente, chiuso nel suo silenzio. Ma neanche stavolta il diavolo demorde e rivolge a Gesù una terza provocazione: «Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”» (Mt 4,8-9). La terza tentazione riguarda sia il desiderio di comandare e la brama di potere, ma anche il misconoscere il posto che Dio ha nella vita, con l’acquisizione di altri idoli. «Caro Gesù, tu sei il messia di Dio, ma adesso devi decidere che tipo di messia vuoi essere: umile o aggressivo? Scegli di essere del tipo aggressivo, così comanderai. Ma prima, un piccolo compromesso, venditi a me! Fatti messia capopopolo, nazionalista che riporti Israele al suo splendore». Neanche stavolta Gesù cede. «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Mt 4,10). Da nessuno dipende la nostra vita, se non dal Signore. E se ci prostreremo solo dinanzi a Dio, di tutto il resto saremo i signori. «Chi teme Dio non può temere altro» (Erri De Luca, Una nuvola come tappeto). «Allora il diavolo lo lasciò» (Mt 4,13). Satana è costretto ad andarsene sconfitto, ma non demorderà, tornerà a farsi vivo nel momento dell’agonia di Gesù, quando, ancora una volta, cercherà di convincere il Signore ad abbandonare il suo progetto di salvare l’uomo. Non so a voi, ma a me da tanto coraggio sapere che anche il Signore ha dovuto confrontarsi col diavolo, che non va’ mai in ferie, né tantomeno in pensione ed è uno «stakanovista» nell’intralciare il nostro cammino. Ma mi incoraggia ancora di più sapere che Gesù si è confrontato con Satana, lo ha sconfitto e lo ha fatto anche per noi. Noi, ogni anno, abbiamo a disposizione un tempo, la Quaresima, per mettere a fuoco le tentazioni che, continuamente, siamo chiamati a superare. Anche noi subiamo le stesse tentazioni di Gesù: La tentazione del pane, che riduce la vita a cose o obiettivi, credendo che la felicità consista nel conseguire dei risultati, nel possedere beni che, ci illudiamo, ci riempiono la vita; La tentazione di manipolare Dio che, bontà nostra, deve fare ciò che noi pensiamo essere essenziale; La tentazione di possedere gli altri, dell’esercitare su di loro un potere, costi quel che costi. Siamo in un tempo in cui ci viene richiesta ancora una volta la conversione. «Ma quale conversione? Noi a Dio ci crediamo…», mi direte voi. Sì, forse è vero, ma in Quaresima ci viene chiesto di perseverare nella conversione. La Quaresima è una sorta di «pit stop», un «fare il tagliando» alla nostra vita, la «convergenza» alla nostra anima. Ecco la Quaresima: Deserto, Conversione e Lotta alle tentazioni. Per vivere la Quaresima al meglio, la Chiesa ci suggerisce tre «strumenti»: il Digiuno, la Preghiera e l’Elemosina. Il Digiuno non è lo «sciopero della fame» come forma di protesta, non è una modalità per dimagrire, né una performance ascetica. Il Digiuno è la ricerca della moderazione, del fondamentale. La Preghiera è il dialogo vero e sincero con Dio, è richiesta, ma è soprattutto ascolto di quanto Dio sogna per le nostre vite. C’è il rischio che ci ricordiamo di Dio solo per invocare il suo aiuto, solo quando c’è qualcosa da chiedergli, dimenticando di contemplare l’opera del suo amore, dimenticando di fermarci a ringraziarlo per quanto, giorno dopo giorno, compie per noi. Infine, l’Elemosina, che non è il superfluo dato in un attimo di commozione o un modo per svuotare gli armadi da abiti fuori moda. L’Elemosina è spalancare il nostro cuore ai bisogni degli altri, il semplice accorgersi degli altri. Abbiamo tanto da fare… Mettiamoci a lavoro… E buona Quaresima.


Perfetti forse no, ma perfettibili sì!

VII per Annum – 29 Febbraio 2023

Prima lettura: Lv 19, 1-2. 17-18 – Ama il prossimo tuo come te stesso. Salmo Responsoriale: Dal Salmo 102 – Il Signore è buono e grande nell’amore. Seconda lettura: 1 Cor 3, 16-23 – Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio. Vangelo: Mt 5, 38-48 – Amate i vostri nemici

Come aveva già fatto la scorsa domenica, Gesù continua, anche questa domenica, a parlare del «Decalogo», della Legge di Dio data a Israele, cercando di dargli una bella «spolverata». Questa settimana si sofferma su due casi veramente tosti: il problema della violenza tra gli uomini nei conflitti relazionali e la questione dell’amore per il prossimo. «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli anche l’altra» (Mt 5,38-39). Dopo avere ascoltato queste parole, lo posso dire con certezza: «Gesù, da piccolo, è caduto dal sediolone e ha sbattuto violentemente la testa!». Ma come si fa a porgere l’altra guancia a chi mi ha colpito? Ma andiamo con ordine ci torneremo tra poco… «Occhio per occhio e dente per dente» (Mt 5,38). È la «legge del taglione», un codice normativo risalente a un periodo tra il 1792 e il 1750 a. C., detto anche Codice di Hammurabi, dal nome del re a cui è attribuito. Il taglione sembra permettere la violenza, ma, in realtà, nasce con l’intento di porre un freno alla vendetta e limitare così una escalation di violenza. La «legge del taglione» è un argine fissato all’impeto violento della vendetta e impone un castigo uguale al danno causato. È vero non si rinunciava alla vendetta, ma la violenza di questa non era spropositata. «Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli anche l’altra» (Mt 5,39). Se queste parole non fossero di Gesù, le potremmo benissimo liquidare come le parole di uno che se non è andato fuori di testa, è certamente ubriaco. Ma, ahinoi, sono proprio parole di Gesù. Il Signore ci chiede di sostituire all’eccesso di vendetta, l’eccesso di perdono. Cosa ci sta chiedendo il Signore? Forse di essere masochisti, di retrocedere intimoriti, di essere persone passive che accettano e subiscono ogni prepotenza? No, mio caro e buon Gesù, in questo mondo «megghiu nesciri i scagghiuna!». «Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli anche l’altra» non significa passare per stupidi, per scimuniti, per fessi, ma significa porre fine, sul nascere, alla spirale di violenza; significa non rispondere alla violenza con altra violenza; significa spezzare il cerchio della violenza proponendo iniziative che disinneschino, sul nascere, il desiderio di rivalsa e di ritorsione e l’odio; significa vincere l’istinto della vendetta. «Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli anche l’altra» significa offrire una modalità diversa di risoluzione del conflitto, una modalità nuova, diversa capace di spiazzare l’oppressore che dal suo gesto violento si attendere il contraccambio. Si diventa così disarmati disarmanti. Ed è proprio questa la differenza cristiana: non solo non ripagare il male con il male, ma vincere il male con il bene. La differenza cristiana è la libertà di chi subisce il male, ma sceglie di non farlo a sua volta. «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (Mt 5,44). Sono una vera è propria provocazione queste parole di Gesù. Il Signore sembra chiederci uno sforzo sovrumano che va oltre le nostre capacità di perdonare chi ci ha fatto del male. Ma una cosa è perdonare, non serbare rancore, altra cosa è amare chi mi ha fatto del male, abbracciare chi ferisce «baciare la mano che ruppe il tuo naso» (Fabrizio de Andrè, Il testamento di Tito). Amare i propri nemici è veramente troppo, caro Gesù! Il Signore per dirci di amare non usa fileo, ma agapao che indica l’amore che è indipendente dalla qualità di colui che lo riceve, è indipendente dalla risposta dell’altro. «Siate figli del Padre vostro che è nei cieli: egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Amare tutti è qualità divina, è una cosa divina. Solo Dio non si aspetta il ravvedimento del peccatore per poi amarlo, ma lo ama già da prima, comunque. Dio non separa, non divide tra i «primi della classe» e i «dietro la lavagna». Allora il modello dell’amore del prossimo, non è l’uomo, ma il comportamento di Dio verso gli uomini. Dobbiamo imparare ad amare come Dio ama. «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Usciamo dalla logica dell’«Occhio per occhio e dente per dente», diciamo basta la do ut des. Essere buoni fino in fondo non è una virtù, un eroismo, ma essere buoni fino in fondo è dentro le capacità e le possibilità di ogni persona. Possiamo essere buoni e le proposte di Gesù non eccedono le nostre capacità. Forse non sempre ci riusciamo. Probabilmente non apparteniamo alla categoria di quelli che ci riescono, ma certamente possiamo provarci. D’altronde, non siamo perfetti, ma siamo perfettibili.


Settima Domenica per Annum

«Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, porgigli anche l’altra» (Mt 5,39).

Se queste parole non fossero di Gesù, le potremmo benissimo liquidare come le parole di uno che se non è andato fuori di testa, è certamente ubriaco. Ma, ahinoi, sono proprio parole del Signore. Cosa ci sta chiedendo? Forse di vivere da ebeti in un mondo in cui ci vogliono i “scagghiuna”? No, ci sta solo chiedendo di porre fine, sul nascere, alla spirale di violenza, di vincere l’istinto della vendetta. Ed è proprio questa la differenza cristiana: non solo non ripagare il male con il male, ma vincere il male con il bene. Forse non sempre ci riusciamo. Probabilmente non apparteniamo alla categoria di quelli che ci riescono, ma certamente possiamo provarci. D’altronde, non siamo perfetti, ma perfettibili. Buona domenica.


Salanti o illuminanti, ma non insignificanti

V per Annum – 5 Febbraio 2023

Prima lettura: Is 58,7-10 – La tua luce sorgerà come l’aurora. Salmo Responsoriale: Dal Salmo 111 – Il giusto risplende come luce. Seconda lettura: 1 Cor 2,15 – Vi ho annunciato il mistero di Cristo crocifisso. Vangelo: Mt 5,13-16 – Voi siete luce del mondo.

A volte, ci sono pagine del Vangelo così chiare che sembra superfluo commentarle o spiegarle. Oggi, in questa V domenica per Annum, abbiamo ascoltato proprio una di queste pagine.
Nel testo appena letto, Gesù, per dire quali sono i compiti e le funzioni dei discepoli, usa due metafore «casalinghe», quella del sale e quella della luce.
Quale è l’antefatto a queste parole? Il Maestro ha appena finito di proclamare le beatitudini e aggiunge, rivolto ai suoi discepoli: «Se voi vivete questo, se voi fate delle Beatitudini la vostra carta costituzionale, voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Cfr. Mt 5,13.14).
Ma osserviamo il nostro brano…
«Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14).
Innanzitutto il «voi»… Non facciamo i furbi, non pensiamo che sia rivolto solo agli interlocutori di allora, dietro quel «voi», ci siamo noi, i discepoli di oggi, con tutta le nostre povertà e debolezze.
«Voi siete» (Mt 5,13.14).
La forza di questa espressione di Gesù è grande, molto pregnante di significato. Il Maestro non usa una forma imperativa («Dovete essere»), non usa una forma esortativa («Siate»), non usa una forma ipotetica («Potete essere»), ma usa il presente che dice ciò che accade adesso. Il Signore dice a noi discepoli chi/che cosa già siamo. Ci sta mostrando la nostra identità, sta declinando le nostre generalità. Noi siamo, non c’è necessità di diventare qualcos’altro.
«Voi siete il sale della terra» (Mt 5,13).
Oggi, soprattutto gli ipertesi sanno che è meglio mangiare senza sale, ma ai tempi di Gesù, senza il sale non si poteva vivere. Il sale veniva usato per conservare i cibi, evitandone il deterioramento. Il sale veniva unito ai sacrifici di oblazione per indicare il non degradamento delle alleanze. Il sale veniva usato anche per purificare, disinfettare, guarire le ferite, per farle cicatrizzare e soprattutto per non farle imputridire («Ci vorrebbe il sale per guarire le ferite» cantava Marco Masini nella sua canzone «Ci vorrebbe il mare»). A questo si aggiunge che, ieri come oggi, il sale insaporisce i cibi. Diciamocelo francamente, farà pure male, ma una pietanza senza sapore risulta disgustosa, difficile da ingoiare. Non scordiamoci pure che il sale, oggi, è usato anche per sciogliere la neve e il ghiaccio. Era prezioso il sale, non per niente era dato come paga ai soldati romani, il salario, appunto.
Che significa allora che il discepolo di Gesù è «sale della terra» (Mt 5,13)? Essere «sale della terra» (Mt 5,13) significa che il Cristiano è chiamato a dare sapore al mondo, a preservare il mondo dalla corruzione, a sciogliere tutto quello che può in qualche modo bloccarlo.
«Se il sale perde il sapore» (Mt 5,13).
Il verbo greco usato è morantè, che letteralmente significa «impazzisce». Come può il sale impazzire, e, soprattutto, come può perdere il sapore? Al tempo di Gesù c’era un modo curioso di salare i cibi. Si mettevano delle pietre saline all’interno della pentola e durante il processo di cottura, le pietre rilasciavano lentamente il sale che contenevano, dando così sapore al cibo. Una stessa pietra salante poteva essere usata varie volte, ma alla fine si «scaricava» e doveva essere buttata via, per non correre il rischio di confonderla con le altre ancora «cariche». Un’esperienza simile può capitarci oggi con le batterie alkaline. Quando si scaricano non cambiano il loro aspetto. Ti accorgi però che sono scariche perché l’aggeggio dove si trovano non funzionano.
Il Signore ricorda così che se noi non portiamo del buono, non portiamo sapore, se non svolgiamo il nostro compito, verremo buttati. Se i Cristiani sono insipidi, non sanno di niente, scandalizzano, allora il mondo li butta via. Il Cristiano non è Cristiano per gli atteggiamenti più o meno corretti, o per i ruoli che ricopre nella comunità, ma il Cristiano è Cristiano se con la sua presenza sala, se è salante.
«Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14)
Quando la luce c’è, ce ne accorgiamo, senza bisogno di proclami o di bandiere. Se c’è luce vediamo le forme, i colori, le sfumature dei colori. Il buio, l’assenza di luce, finisce per uniformare tutto. Chiediamoci a questo punto, quando noi ci siamo si vede che ci siamo? Quando arriviamo noi, i Cristiani, i presenti si accorgono che la situazione è cambiata? O la nostra fede è buia, oscurante?
«Né si accende una lampada per metterla sotto il moggio» (Mt 5,15).
Il moggio era una cesta in cui si conservavano i cereali, proprio per questo non avrebbe senso occultarvi sotto una lampada. Gesù ha scoperto l’acqua calda!?
Da questa affermazione, insieme all’altra, a proposito del sale non più salante, si percepiscono due preoccupazioni di Gesù: il rischio dell’insignificanza. Il Signore ci mette in guardia dal far scadere il Cristianesimo nello spiritualismo, dove il fatto religioso diventa solo evasione da una storia difficile; o magari nel moralismo, nel «tanto non faccio male a nessuno»; o magari nella schizofrenia di un’appartenenza ecclesiale sganciata dalla vita; o infine nel minimalismo, nel giocare al ribasso, nello svendere lo specifico cristiano. Ci ricordiamo, noi Cristiani, che abbiamo da comunicare al mondo una parola di speranza, una certezza di salvezza?
«Vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
Il Signore chiede ai discepoli di dare testimonianza tramite le opere, in altri termini ci chiede la visibilità. Una visibilità, attenzione, che non significa «farsi vedere», ma «far vedere», farsi segno, essere significativi. Siamo chiamati a «far vedere» con la nostra vita il Vangelo. Ciò non significa badare alle apparenze più che alla sostanza, ma comprendere che dal «come» viene annunciato, dal come lo viviamo, «dipende» la credibilità stessa del Vangelo.
La vocazione cristiana, il senso della vita di ciascun Cristiano è «l’essere posti sul monte» (Cfr. Mt 5,14) è «splendere sul candelabro» (Cfr. Mt 5,15), senza mimetizzarsi nel mondo. Essere testimoni, essere pubblicità del Signore, sua reclame ed essere Cristiani è la stessa cosa. I Cristiani devono essere testimoni: ognuno può farlo a modo proprio. C’è chi può farlo nascostamente come le pietre salanti, chi pubblicamente come lampade. Ciascuno ha la propria chiamata, ma tutti dobbiamo fare qualcosa: dobbiamo testimoniare. A ciascuno il suo, («unicuique suum» afferma uno dei principi fondamentali del diritto romano, «unicuique suum» è insieme a «non praevalebunt» uno dei due motti posti sulla prima pagina dell’Osservatore romano, «A ciascuno il suo» è il titolo di un romanzo giallo di Leonardo Sciascia) salanti o illuminanti, decidiamoci. A ciascuno il suo.


Quinta Domenica per Annum – A

«Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14).

Gesù, per dire quale è il compito dei discepoli, usa due metafore «casalinghe», quella del sale e quella della luce. I Cristiani devono essere testimoni e ognuno può esserlo a modo proprio. C’è chi può esserlo nascostamente come il sale che si dissolve, chi pubblicamente come una lampada visibile a tutti. A ciascuno il suo. Salanti o illuminanti, decidiamoci, basta non essere insignificanti. Buona Domenica.