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Trentatreesima Domenica per Annum

«Diede talenti secondo le capacità di ciascuno» (Mt 25,15).

L’immagine del Signore che viene fuori dalla parabola dei talenti è quella di un Dio capriccioso che fa particolarità. In realtà non è così: il Signore “conosce i suoi polli” e dà a ciascuno secondo le proprie capacità. Non importa quanti e fino a quando, importa solo che tutti abbiamo ricevuto talenti e dobbiamo farli fruttare a servizio degli altri. Alla fine Dio non guarderà i risultati ma l’impegno che ci avremo messo. Che non ci accada di vivere una vita insignificante per paura di sprecarla. Buona domenica e fate fruttare i vostri talenti.


Salanti o illuminanti, ma non insignificanti

V per Annum – 5 Febbraio 2023

Prima lettura: Is 58,7-10 – La tua luce sorgerà come l’aurora. Salmo Responsoriale: Dal Salmo 111 – Il giusto risplende come luce. Seconda lettura: 1 Cor 2,15 – Vi ho annunciato il mistero di Cristo crocifisso. Vangelo: Mt 5,13-16 – Voi siete luce del mondo.

A volte, ci sono pagine del Vangelo così chiare che sembra superfluo commentarle o spiegarle. Oggi, in questa V domenica per Annum, abbiamo ascoltato proprio una di queste pagine.
Nel testo appena letto, Gesù, per dire quali sono i compiti e le funzioni dei discepoli, usa due metafore «casalinghe», quella del sale e quella della luce.
Quale è l’antefatto a queste parole? Il Maestro ha appena finito di proclamare le beatitudini e aggiunge, rivolto ai suoi discepoli: «Se voi vivete questo, se voi fate delle Beatitudini la vostra carta costituzionale, voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Cfr. Mt 5,13.14).
Ma osserviamo il nostro brano…
«Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14).
Innanzitutto il «voi»… Non facciamo i furbi, non pensiamo che sia rivolto solo agli interlocutori di allora, dietro quel «voi», ci siamo noi, i discepoli di oggi, con tutta le nostre povertà e debolezze.
«Voi siete» (Mt 5,13.14).
La forza di questa espressione di Gesù è grande, molto pregnante di significato. Il Maestro non usa una forma imperativa («Dovete essere»), non usa una forma esortativa («Siate»), non usa una forma ipotetica («Potete essere»), ma usa il presente che dice ciò che accade adesso. Il Signore dice a noi discepoli chi/che cosa già siamo. Ci sta mostrando la nostra identità, sta declinando le nostre generalità. Noi siamo, non c’è necessità di diventare qualcos’altro.
«Voi siete il sale della terra» (Mt 5,13).
Oggi, soprattutto gli ipertesi sanno che è meglio mangiare senza sale, ma ai tempi di Gesù, senza il sale non si poteva vivere. Il sale veniva usato per conservare i cibi, evitandone il deterioramento. Il sale veniva unito ai sacrifici di oblazione per indicare il non degradamento delle alleanze. Il sale veniva usato anche per purificare, disinfettare, guarire le ferite, per farle cicatrizzare e soprattutto per non farle imputridire («Ci vorrebbe il sale per guarire le ferite» cantava Marco Masini nella sua canzone «Ci vorrebbe il mare»). A questo si aggiunge che, ieri come oggi, il sale insaporisce i cibi. Diciamocelo francamente, farà pure male, ma una pietanza senza sapore risulta disgustosa, difficile da ingoiare. Non scordiamoci pure che il sale, oggi, è usato anche per sciogliere la neve e il ghiaccio. Era prezioso il sale, non per niente era dato come paga ai soldati romani, il salario, appunto.
Che significa allora che il discepolo di Gesù è «sale della terra» (Mt 5,13)? Essere «sale della terra» (Mt 5,13) significa che il Cristiano è chiamato a dare sapore al mondo, a preservare il mondo dalla corruzione, a sciogliere tutto quello che può in qualche modo bloccarlo.
«Se il sale perde il sapore» (Mt 5,13).
Il verbo greco usato è morantè, che letteralmente significa «impazzisce». Come può il sale impazzire, e, soprattutto, come può perdere il sapore? Al tempo di Gesù c’era un modo curioso di salare i cibi. Si mettevano delle pietre saline all’interno della pentola e durante il processo di cottura, le pietre rilasciavano lentamente il sale che contenevano, dando così sapore al cibo. Una stessa pietra salante poteva essere usata varie volte, ma alla fine si «scaricava» e doveva essere buttata via, per non correre il rischio di confonderla con le altre ancora «cariche». Un’esperienza simile può capitarci oggi con le batterie alkaline. Quando si scaricano non cambiano il loro aspetto. Ti accorgi però che sono scariche perché l’aggeggio dove si trovano non funzionano.
Il Signore ricorda così che se noi non portiamo del buono, non portiamo sapore, se non svolgiamo il nostro compito, verremo buttati. Se i Cristiani sono insipidi, non sanno di niente, scandalizzano, allora il mondo li butta via. Il Cristiano non è Cristiano per gli atteggiamenti più o meno corretti, o per i ruoli che ricopre nella comunità, ma il Cristiano è Cristiano se con la sua presenza sala, se è salante.
«Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,14)
Quando la luce c’è, ce ne accorgiamo, senza bisogno di proclami o di bandiere. Se c’è luce vediamo le forme, i colori, le sfumature dei colori. Il buio, l’assenza di luce, finisce per uniformare tutto. Chiediamoci a questo punto, quando noi ci siamo si vede che ci siamo? Quando arriviamo noi, i Cristiani, i presenti si accorgono che la situazione è cambiata? O la nostra fede è buia, oscurante?
«Né si accende una lampada per metterla sotto il moggio» (Mt 5,15).
Il moggio era una cesta in cui si conservavano i cereali, proprio per questo non avrebbe senso occultarvi sotto una lampada. Gesù ha scoperto l’acqua calda!?
Da questa affermazione, insieme all’altra, a proposito del sale non più salante, si percepiscono due preoccupazioni di Gesù: il rischio dell’insignificanza. Il Signore ci mette in guardia dal far scadere il Cristianesimo nello spiritualismo, dove il fatto religioso diventa solo evasione da una storia difficile; o magari nel moralismo, nel «tanto non faccio male a nessuno»; o magari nella schizofrenia di un’appartenenza ecclesiale sganciata dalla vita; o infine nel minimalismo, nel giocare al ribasso, nello svendere lo specifico cristiano. Ci ricordiamo, noi Cristiani, che abbiamo da comunicare al mondo una parola di speranza, una certezza di salvezza?
«Vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
Il Signore chiede ai discepoli di dare testimonianza tramite le opere, in altri termini ci chiede la visibilità. Una visibilità, attenzione, che non significa «farsi vedere», ma «far vedere», farsi segno, essere significativi. Siamo chiamati a «far vedere» con la nostra vita il Vangelo. Ciò non significa badare alle apparenze più che alla sostanza, ma comprendere che dal «come» viene annunciato, dal come lo viviamo, «dipende» la credibilità stessa del Vangelo.
La vocazione cristiana, il senso della vita di ciascun Cristiano è «l’essere posti sul monte» (Cfr. Mt 5,14) è «splendere sul candelabro» (Cfr. Mt 5,15), senza mimetizzarsi nel mondo. Essere testimoni, essere pubblicità del Signore, sua reclame ed essere Cristiani è la stessa cosa. I Cristiani devono essere testimoni: ognuno può farlo a modo proprio. C’è chi può farlo nascostamente come le pietre salanti, chi pubblicamente come lampade. Ciascuno ha la propria chiamata, ma tutti dobbiamo fare qualcosa: dobbiamo testimoniare. A ciascuno il suo, («unicuique suum» afferma uno dei principi fondamentali del diritto romano, «unicuique suum» è insieme a «non praevalebunt» uno dei due motti posti sulla prima pagina dell’Osservatore romano, «A ciascuno il suo» è il titolo di un romanzo giallo di Leonardo Sciascia) salanti o illuminanti, decidiamoci. A ciascuno il suo.