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Motrici, rimorchi e corse di rally

XXIII per Annum – 4 Settembre 2022

Prima lettura – Sap 9, 13-18 – Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? Dal Salmo 89: Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione. Seconda lettura – Fm 9b-10. 12-17 – Accoglilo non più come schiavo, ma come un fratello carissimo. Vangelo – Lc 14, 25-33 Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Prosegue il cammino del Signore verso Gerusalemme. Gesù, in questo viaggio, è seguito da una grande folla. In tanti pensano che il Maestro di Nazareth sia il messia atteso e il suo viaggio a Gerusalemme sia finalizzato alla conquista del potere politico. E questo, per molti, è veramente un buon motivo per farsi suoi discepoli. Altri seguono Gesù in attesa di vedere segni e miracoli, perché questo strano maestro ex falegname ne fa di tutti i colori. Gesù invece di approfittarne e di cercare di accrescere il consenso dilagante, magari promettendo mari e monti, o divertendosi con gli effetti speciali, riserva a tutti una doccia fredda. Infatti, per nulla lusingato dal successo e dalla popolarità, consapevole del fatto che molti gli vanno dietro solo per motivi superficiali e per interesse, pone tutti di fronte alle esigenze radicali della sequela, per scoraggiare chi si era candidato, con troppa facilità, a seguirlo. Gesù si gira verso la folla per spiegare cosa significa diventare suoi discepoli, cosa significa seguirlo sul serio. «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,25-26). Ecco la prima condizione. Il Signore ci dice che per seguirlo dobbiamo pagare un prezzo alto, «rinunciando» alle relazioni più importanti della vita e, addirittura, anche all’istinto primordiale dell’autoconservazione. Parole difficili e pericolose! Tranquilli nulla di pericoloso! Il Signore sta «solo» dicendo: «Sei disposto a preferirmi a tutto, fossero anche le tue relazioni fondamentali? Sei disposto a rinunciare anche alla tua vita, ai tuoi progetti, per seguirmi? Sei disposto a scomodarti, a svegliarti dal letargo, per seguirmi? Sei disposto a seguirmi senza la sicurezza di un legame di sangue?». L’amore per il Signore non esclude gli altri amori, ma li ordina. L’amore per Gesù deve superare ogni altro amore. In una scala di valori, l’amore per il Signore è al primo gradino. «Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo» (Lc 14,27). Ecco la seconda condizione… «Portare la croce» non significa subire silenziosamente i momenti tristi e le sofferenze che la vita ci riserva («Calati juncu ca passa la china – Piegati giunco, che passa la piena del fiume»), non è un invito alla rassegnazione, ma significa scegliere una vita che assomigli a quella di Gesù, significa accettare il disprezzo della società (Chi era condannato a morire in croce era considerato il rifiuto dell’umanità) e la solitudine che spesso la scelta di adesione a Cristo comporta. «prendere la croce» significa anche riconoscere i propri limiti, significa responsabilizzarsi, significa vivere fino in fondo la vita che il Signore ci dona di vivere, significa fare scelte giuste, senz’altro costose e sofferte, ma certamente le più giuste. «Prendere la croce» significa accettare la propria morte, significa lasciare che sia la morte a dare carattere di urgenza alla vita e, insieme, a farci comprendere che la vita non è solo data, ma anche donata. Quando non si pensa alla morte, la vita diventa falsa e menzognera. La morte ci obbliga all’autenticità della vita. «Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). Questa terza condizione è corredata da due parabole: quella del costruttore della torre e del re che va in guerra. Gesù ci ricorda che per seguirlo è necessario fare i conti con le proprie capacità, bisogna valutare le proprie forze, bisogna ricordarsi che il discepolo non è chiamato solo a iniziare il cammino, ma anche a portarlo a compimento, considerando che non conta la velocità del procedere, ma la perseveranza nell’andare. Parlando di rinuncia a tutto quello che si possiede, il Signore vuole suggerirci che la sicurezza non sta in quello che si ha, ma in quello che si è, in quello che si vuole essere. Non bisogna «attrezzarsi», ma liberarsi delle presunte sicurezze. A questo punto una domanda ci sgorga dal cuore «E chi può essere discepolo a questo modo, con queste condizioni?». È probabilmente meglio, perché più facile, vivacchiare da buoni cattolici semi praticanti. È meglio assumere il cristianesimo in piccole dosi, come fosse un farmaco, per evitare possibili reazioni allergiche. È meglio un Cristianesimo che non costa nulla, quello della sola messa la domenica e poi quando si torna a casa, la vita è sempre la stessa. Eppure Gesù ci dice che essere discepoli è una cosa seria… Chiediamoci se e perché vogliamo essere suoi discepoli… Siamo disponibili a seguirlo mettendo davanti a lui anche i nostri affetti più cari? Siamo disposti a seguirlo anche quando il cammino dovesse farsi duro e insidioso? Siamo disposti ad amarlo senza fare calcoli? La sequela non è fatta per i superficiali, è una scelta di non ritorno! Chiediamoci: «Vado dietro a Cristo come un rimorchio segue la motrice o il Signore è il copilota, il navigatore, nella gara di rally che è la vita?». Quella di seguire il Signore è una proposta tanto sconcertante quanto affascinante, ma certamente solo Dio può colmare la nostra inquietudine, lui solo può riempire il nostro bisogno di infinito. Seguire Gesù è impresa non facile, dura, ma rende felici.


Se c’è Gesù si vede…

XIII per Annum – 26 Giugno 2022

Prima lettura – 1 Re 19, 16. 19-21 – Eliseo si alzò e seguì Elia. Dal Salmo 15: Sei tu, Signore, l’unico mio bene. Seconda lettura – Gal 5, 1.13-18 – Siete stati chiamati alla libertà. Vangelo – Lc 9, 51-62 – Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Ti seguirò ovunque tu vada.

La scorsa settimana, se vi ricordate, Gesù aveva concluso la sua missione in Galilea e prima di spostare la sua azione pastorale in Giudea, a Gerusalemme, aveva voluto capire se e quanto fosse chiaro per i suoi discepoli che a Gerusalemme andavano non in gita, non in pellegrinaggio religioso, ma per andare incontro a persecuzioni e sofferenze. Il sondaggio che Gesù aveva proposto era stato deludente: né la gente, né tantomeno i suoi discepoli avevano la reale e giusta percezione di chi fosse il Signore. Allora il Maestro aveva dovuto dare, anche con una certa schiettezza e veemenza, notizie certe sul suo futuro e soprattutto aveva dovuto stilare l’identikit del vero suo discepolo. Il Vangelo di oggi ci annuncia che Gesù «prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51). Inizia quindi oggi, in questa domenica, il lungo viaggio del Signore a Gerusalemme, la Città santa, dove si compirà il mistero pasquale. Il testo greco dice che Gesù «indurì in suo volto» (Lc 9,51), significa, senza mezzi termini, che il Signore ha chiaro quello a cui sta andando incontro, ma questo non gli mette nessuna paura e anzi diventa come uno «ri chiddi ca a faccia a ponnu sbattiri o muru». Per andare dalla Galilea in Giudea, c’erano due possibili vie: una più corta, passava attraverso la Samaria, una più lunga, passava per la valle del Giordano. La via più corta, quella attraverso la Samaria, era una via difficile, perché, poiché tra i samaritani e gli israeliti non correva buon sangue per motivi politici, ma soprattutto religiosi, gli abitanti della Samaria rifiutavano ospitalità ai pellegrini che andavano a Gerusalemme. Gesù sceglie di andare per la Samaria, ma, come è ovvio, non viene accolto, proprio perché diretto a Gerusalemme. «Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”» (Lc 9,54). Giacomo e Giovanni non mandano giù il fatto che Gesù non venga accolto da tutti e mostrano intransigenza che sfocia nell’intolleranza. Non stupiamoci della cosa. Facciamo esattamente la stessa cosa quando invochiamo fuochi e agitiamo le fiamme dell’inferno per quelli che, a nostro «modesto» avviso, non hanno ancora incontrato il Signore. «Si voltò e li rimproverò» (Lc 9,55). Gesù fa comprendere ai suoi che chi vuole seguirlo deve rinunciare a reazioni istintive a favore di scelte intelligenti. A questo punto del Vangelo sembra che si voglia rispondere a una domanda «come seguire il Signore?». E l’evangelista Luca ci propone le esigenze della sequela. «Un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” » (Lc 9,57-58). A quest’uomo così propenso a seguirlo, così preso dal desiderio di andare sulle sue tracce, Gesù dice parole che vanno nella direzione di scoraggiarlo. In realtà il Signore vuole mettere in chiaro che i suoi discepoli possono anche incorrere nella non accoglienza, nella incomprensione, nell’emarginazione. Gesù sta dicendo: «Vuoi seguirmi? Bene, mi fa piacere, ma prima comprendi bene cosa ti spinge a seguirmi, magari sei solo infatuato, sei preso dall’emozione, dal sentimento. Seguire me non è tutto rose e fiori, ma un’avventura continua, con pochi, o senza, punti di riferimento!». «A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”» (Lc 9,59-60). Queste sono tra le parole più dure che Gesù abbia detto nel Vangelo. Sembra che Gesù voglia censurare gli affetti umani. In realtà c’è qualcosa sotto che giustifica le parole del Maestro. Secondo la Legge, chi non partecipava alle esequie del padre, non aveva diritto all’eredità. Signore non ammette dilazioni alla chiamata. Quell’uomo vuole sì seguire Gesù, ma preferisce tenersi le spalle coperte, nel caso vada male con il Maestro, avrà qualcosa che gli permetterà di piangere con un occhio. Per quell’uomo c’è un «prima» che sta in cima ai suoi pensieri e invade il suo cuore e, purtroppo per lui, non è Dio! «Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”» (Lc 9,61-62). La vita cristiana impone dei distacchi, con tagli spesso dolorosi, ma vanno fatti nella risolutezza e nella perseveranza. Non sono ammesse nostalgie del passato. Né tantomeno è possibile trasformare in un motto personale la celebre frase del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: «Tutto cambi perché nulla cambi». Se si decide di essere cristiani, lo si deve essere appieno. Se abbiamo incontrato il Signore, le conseguenze di questo incontro, devono cambiare la nostra vita. Se c’è il Signore nella nostra vita nulla può e deve essere come prima.


Sondaggi d’opinione

XII per Annum – 23 Giugno 2013

Prima lettura – Zc 12, 10-11; 13.1 – Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Dal Salmo 62: Ha sete di te, Signore, l’anima mia. Seconda lettura – Gal 3, 26-29 – Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Vangelo – Lc 9, 18-24 – Tu sei il Cristo di Dio. – Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.

Gesù ha appena concluso la sua missione in Galilea e prima di proseguire la missione, dirigendosi verso Gerusalemme, si ferma e si lascia andare a delle riflessioni e ad alcune considerazioni. Certamente ha avuto una buona accoglienza da parte delle persone, anche se il risultato non è proprio quello sperato. La gente è attirata dai miracoli, dal bisogno di liberazione politica dagli odiati romani, dalla necessità del riscatto sociale, più che dalla novità evangelica. In altri termini ci si aspettava un messia, ma non certamente un messia sofferente! Invece l’accoglienza non è stata delle migliori da parte dei capi religiosi e politici d’Israele: il falegname di Nazareth scopertosi rabbino è per loro una provocazione continua, una presenza intollerabile, imbarazzante, certamente da liquidare al più presto. I discepoli che lo seguono devono essere informati di quello che lo attende e li attende, ma prima Gesù ha necessità di capire che percezione hanno di lui. Questi uomini hanno lasciato tutto per seguirlo, ma ancora non hanno ben chiaro né chi sia veramente questo Gesù, né tantomeno sanno se vale veramente la pena impegnarsi con lui. Il Maestro, per questi motivi,  fa un sondaggio tra i suoi e «pose loro questa domanda: “Le folle, chi dicono che io sia?”» (Lc 9,18). Il sondaggio dà risultati più che lusinghieri: «Essi risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto”» (Lc 9,19), ma dimostrano che le folle, in Gesù, vedono un profeta agguerrito (sulla scia di Elia e Giovanni il Battista) che presenta un Dio giustiziere e castigatore. A questo punto il Signore rincara la dose. «Allora domandò loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”» (Lc 9,20). Sembra dire «Visto che la gente non ha capito nulla di me, non ha capito chi sono, voi, almeno, avete le idee chiare?» La risposta non si fa attendere e, come al solito, arriva dal primo tra i discepoli: «Pietro rispose: “Il Cristo di Dio”» (Lc 9,20). Ma la risposta non è quella che Gesù avrebbe voluto, è incompleta e parziale! «Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno» (Lc 9,21). Il «Cristo di Dio» atteso dalla tradizione d’Israele doveva essere un re che, con la forza e la violenza, avrebbe restaurato il regno d’Israele. Gesù sgrida i suoi dicendo che lui è sì il Cristo, ma sarà liberatore in una maniera totalmente nuova. I suoi non hanno capito ancora nulla di lui e nel loro cuore stanno cominciando a progettare e a sognare i ruoli di prestigio che gli competeranno quando Gesù diventerà re d’Israele. Il Maestro è costretto, a questo punto, a parlare chiaro, dicendo chiaramente ai suoi, di accantonare i sogni di gloria, anzi che non li attende nessuna gloria, umanamente intesa: «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22). «Cari amici, non ci saranno “invitate” ai talk show, né vi chiamerà Bruno Vespa, che non avrà in studio nessun  plastico del mio regno!». Gesù capisce che è meglio mettere in chiaro le cose, deve spiegare ai suoi le caratteristiche della sequela, dell’essere suoi discepoli. Deve fornire loro il manuale d’istruzioni del discepolo. «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,23-2a). «Se qualcuno vuole venire dietro a me» (Lc 9,23). La prima caratteristica di ogni discepolo è la libertà: Cristo non vuole né gente che lo segue a rimorchio, né scimmiette ammaestrate, né tantomeno fanatici convinti di potere convertire il mondo a forza di invettive e annunci malauguranti sul futuro(Cfr. Max Gazzè, Sotto casa)! Seguire il Signore è una scelta, una scelta di libertà. Qualsiasi fanatismo o plagio è bandito dal vocabolario del cristiano. «Rinneghi se stesso» (Lc 9,23). Su questo punto sono stati versati fiumi di inchiostro… Un certo ascetismo fasullo, che torna, purtroppo, periodicamente in voga, ha affermato che rinnegare se stessi significa rinunciare alle proprie potenzialità, all’impegno per essere protagonisti nella propria storia e nella storia del mondo, significa annientarsi per diventare insignificanti e vuoti. Rinnegare se stessi significa invece porre al centro della propria vita non sé stessi, ma il Vangelo, assumendolo come unico criterio di riferimento nella vita e mostrando, ogni giorno, che niente e nessuno potrà mai impedirci di vivere di Vangelo e il Vangelo. Rinnegare se stessi significa anche rinunciare al proprio io decidendo di accogliere la vita come un dono, rinunciando alla pretesa di esserne i padroni. «Prenda la sua croce ogni giorno» (Lc 9,23). Anche su questo punto sono stati versati fiumi di inchiostro… E il già citato ascetismo fasullo, ha affermato che prendere la croce andare alla ricerca della sofferenza e del dolore e quando questi ci accadono nella vita, vanno accolti con il capo chino, sopportando il tutto in silenzio. Gesù non ha detto nulla di tutto questo! Ci ha «semplicemente» suggerito che la vita va accolta nella sua concretezza e nella sua fragilità, con le sue cose belle e con le difficoltà che la rendono a volte pesante e piena d’incognite. Prendere la croce significa prendere la propria vita in mano con generosità, assumendosi le proprie responsabilità senza delegarle a Dio o agli uomini. «Mi segua» (Lc 9,23). Seguire Gesù, ecco l’ultima caratteristica del discepolo… Essere discepoli significa camminare nella vita riuscendo a scorgere solo le spalle del Maestro, le sue tracce nella nostra storia, significa, cioè, vivere la vita nella fede, non avendo, quasi mai, nulla di chiaro. Il Vangelo di oggi ci lascia i compiti per casa, anche se la scuola è finita… Ci fa interrogare infatti, su Gesù, ma anche e soprattutto, sul nostro essere suoi discepoli. Gesù pone anche a noi la domanda: «Chi sono io per te?». Non diamo risposte facili, astratte, usando magari quelle formulette che ci siamo appiccicati in testa quando eravamo al Catechismo. Non è la definizione di Cristo che è in gioco, ma quanto di lui vive nelle nostre esistenze. Usciamo dalle formule sacre, canoniche, e diamo la risposta giusta, la risposta che viene fuori dall’aver fatto esperienza del Signore. E dopo aver risposto alla prima domanda, chiediamoci se siamo discepoli e che tipo di discepoli siamo, se siamo tra quelli che accalcano i santuari e le chiese alla ricerca del sentimentalismo, o siamo disposti veramente a giocarci per Cristo, vivendo il Vangelo anche dovendo affrontare sofferenze e persecuzioni… Buon lavoro.


Dodicesima Domenica per Annum

«Voi chi dite che io sia?» (Lc 9,20).

Gesù ci rivolge oggi questa domanda. Non diamo risposte facili, astratte, usando magari quelle formulette che ci siamo appiccicati in testa quando eravamo al Catechismo. Non è la definizione di Cristo che è in gioco, ma quanto di lui vive nelle nostre esistenze. Non accontentiamoci di farci dire dagli altri chi è Gesù, ma ricerchiamo il suo volto in chi ci sta intorno, perché questo è il senso dell’esser cristiani.