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Una gita in montagna…

II di Quaresima, 25 Febbraio 2024

Prima lettura – Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18: Il sacrificio del nostro padre Abramo. Dal Salmo 115: Camminerò davanti al Signore nella terra dei viventi. Seconda lettura – Rm 8,31b-34: Dio non ha risparmiato il proprio Figlio. Vangelo – Mc 9, 2-10: Questi è il mio Figlio prediletto.

Siamo alla Seconda domenica di Quaresima. Due i «protagonisti» della Liturgia della Parola di oggi: le montagne (Mòria, Tabor e un’altra non nominata, ma che si staglia sullo sfondo) e la fede. Ma andiamo con ordine… Nella Prima Lettura (Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18) incontriamo Abramo che, con il figlio Isacco, sale sul Monte Mòria. Fanno una gita? O fanno una battuta di caccia? No, purtroppo… Abramo ama tantissimo suo figlio Isacco. Ha sognato quel figlio. Per quel figlio ha pianto e pregato. È un figlio del miracolo, perché nato da un vecchio e da una sterile. Ora Dio gli chiede una cosa assurda: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò» (Gen 22,2). «Ma come! Dopo tutto il macello, ora che il figlio è arrivato, devo ucciderlo?». Abramo resta senza fiato, ma decide che di Dio può fidarsi. E per fortuna Dio interviene. «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 2,12). «Mi hai mostrato la tua fede, mi hai dimostrato che ti fidi di me!». Ma cosa è questa fede? Avete presente il Ponte di Messina? Ogni tanto ci dicono che lo faranno, poi si dimenticano, poi qualcuno lo ripropone. A cosa servirà il ponte? A unirela Sicilia con il resto dell’Italia. La fede è come un ponte che ci collega con Dio, ci unisce a Dio. Saliamo adesso sull’altro monte, il Tabor. «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli» (Mc 9,2). Ma se Gesù sa quello che da lì a poco accadrà, perché vuole salire su un monte, isolandosi da tutti, senza molti testimoni? Perché non ha organizzato una bella conferenza stampa? Perché come al solito non vuole pubblicità, vuole che siano pochi a vedere quanto sta per succedere e, dopo che sarà accaduto, non vorrà che si dica in giro. Ma poi perché si porta dietro solo Pietro, Giacomo e Giovanni? Perché i tre discepoli hanno bisogno di essere confermati nella fede. Gesù, ultimamente, per loro, è diventato difficile da capire. Parla continuamente di morte, di sofferenza. Non si rende conto che continuando così, dato il successo che sta riscuotendo, lo faranno minimo minimo presidente degli Stati Uniti? «Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche» (Mc 9,2-3). Gesù non si trasforma, non cambia forma, ma si trasfigura, va oltre l’immagine. Gesù sta mostrando ai discepoli qualcosa che c’era anche prima, ma che i discepoli non vedevano: il suo lato «divino»! I discepoli chiudono gli occhi abbagliati e quando li riaprono, Gesù non è solo. Ci sono due personaggi: uno è Mosè (rappresenta la Legge) e l’altro è Elia (rappresentante dei profeti). I tre parlano amichevolmente, tranquillamente, sembrano amici di lunga data. Incontrando Mosè ed Elia sta dimostrando che è venuto a dare compimento alla Legge e ai profeti e non ha intenzione di fare «rivoluzioni». Ma in questo modo sta dimostrando chiaramente che lui è il Messia. «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia» (Mc 9,5). Il povero Pietro non sa cos’altro dire. Gli viene dal cuore di proporre a Gesù di rimanere lì. Può succedere anche a noi di vivere momenti di profondo contatto col Signore e non volere per nulla che finiscano… Ma la vita è fatta anche di altro… E bisogna tornare a valle. «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9,5). È il Padre stesso a mettersi in gioco: «Pietro, Giacomo, Giovanni, non vi siete sbagliati, Gesù è veramente mio Figlio, state seguendo il Signore e continuate a farlo anche quando non ci capirete 0,0 niente!». Adesso ci sarà un’altra montagna ad aspettare Gesù: il Golgota. È una cava dismessa dove i romani «appendevano» i condannati. Non c’è Tabor, senza Golgota e non c’è Golgota senza Tabor. Sul Tabor Gesù sarà trasfigurato, sul Golgota sarà sfigurato. Quando la vita non ci ride, ricordiamoci che il nostro destino finale è la trasfigurazione, la gloria, Dio.


Quaresima: è il momento di «fare il tagliando»!

Articolo pubblicato sul numero 481 del “Settimanale di Bagheria”

Viviamo un tempo di Crisi economica parecchio seria: anche chi è sempre stato abituato a vivere nell’abbondanza, teme ora di provare l’indigenza. L’economia ha trasformato e condizionato il nostro stile di vita, per poi lasciarci «cu l’occhi chini e i manu vacanti». Abbiamo creduto di poter avere tutto sotto controllo e ci siamo illusi di poter guadagnare sempre di più. Ora ci sentiamo persi, incapaci di rinunciare alle tante cose inutili con cui, per troppo tempo, abbiamo riempito il «vuoto» di una vita senza senso. Per chi non l’avesse ancora chiaro, la felicità non si compra al supermercato, né tanto meno a tasso zero, ma costa fatica. La fatica di amare. Ci hanno detto a più riprese e da più parti che il Cristianesimo è la religione dei vinti, l’«oppio dei popoli», la grande «illusione» che consola con la promessa di un paradiso futuro, chi non può «comprarsi» il paradiso in terra. Invece il Cristianesimo è l’unica proposta vincente, capace di farci «andare controcorrente». Probabilmente tutti avvertiamo oggi la necessità di un cambiamento radicale, un tempo per respirare, per mettere in ordine. Un tempo «eversivo» dove ritrovare l’essenzialità delle cose, disintossicarci dalla overdose di egoismo, per fare riemergere la nostra immagine «imprigionata» in tutto ciò che non siamo noi. È proprio questola Quaresima, un tempo di quaranta giorni in preparazione alla Pasqua, iniziato Mercoledì scorso, un tempo penitenziale di purificazione e di conversione. Ma cosa è la conversione? Un passato da rimediare o cancellare? Una realtà solo moralistica? Più semplicemente, ritengo sia un qualcosa di connaturale all’uomo, al cristiano, che si accorge di essere in divenire, in continuo cambiamento, in perenne movimento verso qualcosa o Qualcuno. Nella Quaresima ci viene posto dinanzi uno specchio immaginario e in esso dobbiamo riuscire a scorgere la nostra vera immagine, la nostra immagine autentica. È la potatura di Dio, la Quaresima. Così come se un albero non «subisse» la potatura, morirebbe soffocato dal suo eccesso di fogliame, anche noi dobbiamo ricevere da Dio la nostra potatura. Non si tratta di un semplice tagliare qualcosa in eccesso, quanto di un gesto di speranza, una scommessa che Dio fa’ su di noi e noi con lui. La Quaresimaè quindi un tempo per ricercare l’essenziale. Sono solo quaranta giorni, se ci pensate,  poco più della decima parte di un anno. Ma sono giorni fondamentali per riscoprirci cercatori di Dio, per ridare un centro alla nostra vita, per «fare il tagliando», per «fare la convergenza» alle nostre vite. Non è un caso che nel primo giorno di Quaresima, il Mercoledì delle Ceneri, la Chiesa ci fa’ «sottoporre» ad uno «shampoo di cenere», per ridimensionare il nostro delirio di onnipotenza: «Ricordati che polvere sei e in polvere ritornerai». Tranquilli, niente di lugubre o mal augurante. Semplicemente siamo chiamati a ricordarci che alla fine siamo nulla o quasi, ma del nostro nulla Dio riesce a farne un capolavoro. Il cammino di Quaresima ha diverse tappe: il digiuno, la preghiera, l’elemosina e l’ascolto. Cosa si intende per digiuno? Non certamente la modalità di protesta dello sciopero della fame, né le varie pratiche alla ricerca di dimagrimenti, né tantomeno deve diventare un’opera meritoria o una performance ascetica. Il digiuno è qualcosa di autentico, è la ricerca della sobrietà, di cosa veramente dà consistenza e sapore alla nostra vita, della ricchezza vera, quella che nessun «crollo dei mercati» potrà mai distruggere. Parlando di preghiera forse tutti ci sentiamo dei maestri, a tal punto da non dovere ricevere consigli; d’altronde, chi di noi non sa a memoria l’Ave Maria e il Padre nostro, mandati a memoria quando si andava al Catechismo? Ma quanti di noi si ricordano, o sanno, che il termine preghiera è «parente» della parola precario e condividono l’origine latina dal termine prex? Sì, si prega perché ci si rende conto di essere precari, si cerca Dio perché ci si rende conto che da soli, bene che vada, di finisce col sedere per terra. La preghiera allora è l’eterno dialogo (anche se il più delle volte appare come un triste monologo…) tra cielo e terra, tra l’uomo e Dio. La Quaresima è anche elemosina. Non si tratta certamente del superfluo dato in un attimo di commozione, né del dare in beneficienza, dopo il «cambio stagione», gli abiti fuori moda. Si tratta piuttosto di uno spalancare il cuore ai bisogni, alle esigenze degli altri, di condividere il poco che si ha, semplicemente di accorgersi che ci sono anche gli altri. Non si fa’ carità, cercando di ingraziarsi il Padreterno, ma si è nella carità. Infine l’ascolto. In Quaresima ci si deve interrogare sulla propria fede. Bisogna chiedersi se si è veri cercatori di Dio o si vive il fatto cristiano tra esteriorismo e sentimentalismo, vivendo una fede che non fonda l’esistenza e nemmeno la tocca lontanamente. È solo nel silenzio che si può ascoltare Dio. La Quaresima è un camminare con decisione verso il Signore, con il poco che abbiamo, intravedendo la gioia pasquale. Non è la dichiarazione della nostra disperazione, ma la celebrazione della nostra speranza. Non abbiamo un Dio sconfitto sulla croce il Venerdì santo, ma un Dio vittorioso e risorto la domenica di Pasqua. Sfruttiamo questo momento di grazia. Togliamoci la maschera, specie se è quella di «cristiani devoti» che vivono la fede come anestetico o cura palliativa e riflettiamo veramente sul nostro modo di credere. Buona Quaresima.


Dio è tardariello ma nun è scurdariello

II di Avvento – 5 Dicembre ‘21

Prima lettura – Bar 5,1-9: Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura. Dal Salmo 125: Grandi cose ha fatto il Signore per noi. Seconda lettura – Fil 1,4-6.8-11: Siate integri e irreprensibili per il giorno di Cristo. Vangelo – Lc 3,1-6: Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Come è andata la prima settimana di Avvento? Siamo riusciti a vegliare? A essere vigilanti? Ci siamo stropicciati gli occhi, sciacquati la faccia? Abbiamo tenuto gli occhi aperti e siamo stati attenti alle persone? Oggi si apre una nuova tappa del nostro cammino di Avvento. È il nuovo step, il secondo livello: «Preparate le vie del Signore» (Lc 3,4). È invito alla conversione, a fare spazio a Dio nella vita, nel nostro cuore. È appello a vivere una vita più sobria, più essenziale, stando attenti a difenderci dalla pubblicità che trasforma i nostri sogni in bisogni. « Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Dio, per bocca di Baruc infonde speranza, consolazione a Israele. Le condizioni del popolo sono drammatiche. Il popolo è esiliato in Babilonia, è schiavo di Nabucodonosor. È un popolo scoraggiato, sono ormai trascorsi quarant’anni da quando era stato portato via da Gerusalemme in fiamme. «Dove sono finite le promesse di Dio? Anzi, dove è finito Dio?» si chiedono gli israeliti. E Baruc profetizza: «Non cedete alla disperazione! Fate un cammino di conversione. Ritornate a Dio. La svolta non sia solo esteriore, ma anche nell’essere». Il Vangelo ci presenta oggi Giovanni il battezzatore. «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,1-2). Perché l’evangelista Luca perde tempo a descriverci la situazione geo-politica del tempo in cui Giovanni il Battezzatore inizia la sua predicazione? Semplicemente perché ci tiene a dimostrare che non è corso dietro alle favole, ma che il Vangelo si fonda su solide basi. Quando Luca scrive ci sono molte voci che dicono che i fatti a proposito di Gesù siano solo favolette inventate dagli apostoli e siccome l’evangelista non vuole che la storia del Maestro di Nazareth sia liquidata come uno dei tanti miti presenti nella letteratura dell’epoca, in cui si parlava di divinità nate dall’unione tra una vergine e una divinità, cerca di essere dettagliato e preciso dal punto di vista storico. La venuta del Signore è una cosa concreta, una realtà che entra nella storia reale dell’uomo. Giovanni il battezzatore non è per noi un emerito sconosciuto. Il Vangelo ci parla della sua prodigiosa nascita da Elisabetta vecchia e sterile, della grande festa che segue alla sua nascita. Poi cala il silenzio. Oggi lo ritroviamo, cresciuto, nei pressi del fiume Giordano. Siamo tra il 27 e il 28 dopo Cristo È l’ultimo grande profeta, il trait d’union tra Primo e Secondo Testamento. Non è un grillo parlante che dice e poi non vive. È un grande profeta, di quelli che danno fastidio, che scuotono come uno schiaffo in faccia. Ha deciso di dedicare la sua vita a «preparare la strada». Giovanni non è un trascinatore di folle, non vuole fondare partiti o movimenti. Grida «solo» e chiede l’impegno di fronte al Signore. Chiede a chi va’ da lui al Giordano di cambiare il modo di vivere, per far corrispondere al dato esteriore, l’immersione nelle acqua del fiume, al dato interiore, il cambiare tutto ciò che non è secondo Dio. «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» (Lc 3,4). Giovanni, nel deserto, alza la voce e grida facendo sue le parole di Isaia: «Non cedete alla disperazione! Rifate un cammino di conversione. Ritornate a Dio. Preparate una strada nella sabbia, cioè non omologatevi alle vie facili che il mondo vi propone. Abbassate le colline dell’orgoglio e dell’autosufficienza. Guarite dall’ALTRITE, dalla convinzione che a sbagliare siano solo gli altri e che se sbagliate voi è comunque per colpa altrui». Spesso capita di sentire lamentele su una Chiesa non profetica, dell’assenza di profeti attorno a noi. Dovremmo forse chiederci se non si tratti in realtà una incapacità ad ascoltarli, i profeti che stanno attorno a noi. Forse perché ci scuotono, ci disturbano, ci rompono le scatole, ci chiamano a cambiare vita, ci dicono di convertirci. Ma cosa è la conversione? È girare la nostra attenzione verso il Signore, rifiutando il peccato che invece svia la nostra attenzione dal Signore, facendoci mettere al primo posto altre cose. È scegliere il bene e rinunciare al male. È sempre impresa ardua scegliere tra bene e male e oggi lo è ancora di più… Viviamo nel pluralismo etico, si spaccia per oro colato la «munnizza». «Rubare? Lo fanno tutti… E poi loro si sono mangiati i miliardi!». «Tradire? Può succedere… La carne è debole!». Siamo arrivati a dire che ciò che è male può essere bene e ciò che è bene può essere male. Si vogliono stravolgere il bene e la Verità che è una, sempre e dovunque. Conversione è essere certi che c’è una nuova chance per ognuno, una possibilità per tutti. Avvento è attesa del Signore. È tempo in cui ci è chiesto di accorgerci di Dio, di preparargli la strada, di spalancargli il cuore. «Si, ma quando torna? È da 2000 anni che aspettiamo il ritorno!». Attenti a non scambiare la pazienza di Dio per un ritardo. «Dio è tardariello ma nun è scurdariello» dicono a Napoli. I tempi di Dio non sono i nostri tempi. Dio pazienta perché possiamo convertirci, pazienta perché vuole tutti salvi, interviene con discrezione. Cogliamo quindi la pazienza di Dio come opportunità di conversione, per esperimentare ancora la tenerezza di Dio. Cari amici, la conversione non è evento speciale da riservare a situazioni di difficoltà o a momenti specifici, ma è esigenza continua nella vita del cristiano. E la conversione deve essere decisiva. Non è solo un passare da una vita dissoluta a una vita virtuosa, ma anche dalla visione che di Dio abbiamo, alla visione reale di Dio. Lasciamoci conquistare dal desiderio di Maria per prepararci ad accogliere Gesù.


Bella addormentata

Drammatico, Italia, Francia, 2012, 115’, di Marco Bellocchio, con Isabelle Huppert, Alba Rohrwacher, Maya Sansa, Tony Servillo, Michele Riondino, Gianmarco Tognazzi, Brenno Placido, Pier Giorgio Bellocchio.

Siamo nel febbraio 2009 nei giorni in cui viene applicato il protocollo che prevede la sospensione di alimentazione ed idratazione di Eluana Englaro. Il film non affronta direttamente il caso dal punto di vista dei protagonisti, ma è un film completamente di finzione nella struttura narrativa. Anche se lo sfondo è chiaramente ancorato alla cronaca e al dibattito politico di quei giorni, i personaggi sono inventati, pur nella loro verosimiglianza. Personaggi di fantasia dalle diverse fedi e ideologie le cui storie si collegano emotivamente a quella vicenda, in una riflessione esistenziale sul perché della vita e della speranza malgrado tutto. Un senatore Pdl, colto da crisi di coscienza alla vigilia del voto del Ddl 1369, deve scegliere se votare per una legge che va contro la sua coscienza o non votarla, disubbidendo alla disciplina del partito, mentre sua figlia Maria, attivista del movimento per la vita, manifesta davanti alla clinica dove è ricoverata Eluana. Roberto, con il fratello, è schierato nell’opposto fronte laico. Un “nemico” di cui Maria si innamora. Altrove, una grande attrice cerca nella fede e nel miracolo la guarigione della figlia, da anni in coma irreversibile, sacrificando così il rapporto con il figlio. Infine la disperata Rossa che vuole morire, ma un giovane medico di nome Pallido si oppone con tutte le forze al suo suicidio. E contro ogni aspettativa, alla fine del film, una nota di speranza, un risveglio alla vita…


Sognare…

Forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: la non voglia di sognare ancora (Fabio Volo, Le prime luci del mattino).


Hugo Cabret

Avventura, USA, 2011,126’, di Martin Scorsese, con Chloe Moretz, Asa Butterfield, Sacha Baron Cohen, Ben Kingsley, Jude Law, Ray Winstone, Christopher Lee.

Martin Scorsese, maestro del Cinema, gira il suo primo film in 3D con una storia che è un grande omaggio alle origini del cinema. Il regista italoamericano riesce a mescolare passato e presente, i Lumière e Méliès con le nuove tecnologie. Anni Trenta. La vita non ha mai sorriso al dodicenne Hugo Cabret (Asa Butterfield). Dopo la morte del padre (Jude Law), il ragazzino ha imparato a vivere nascosto all’interno della stazione di Parigi, sostituendo segretamente lo zio nella riparazione dell’orologio e tirando a campare grazie a piccoli furti. Con l’obiettivo di portare a termine la costruzione dell’automa a cui il padre stava lavorando, ruba i pezzi di cui necessita da un negozio di giocattoli all’interno della stazione stessa. Qui, conosce l’eccentrica Isabelle (Chloë Moretz), che lo conduce in un’affascinante avventura al cospetto dell’illusionista e regista George Méliès (Ben Kingsley). Adattamento cinematografico del libro di Brian Selznick, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, il film lascia meravigliati come se si scoprisse il cinema per la prima volta.


Quasi amici

Drammatico, Francia, 2011,112’, di Olivier Nakache e Eric Toledano, con François Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Audrey Fleurot, Clothilde Mollet.

Ispirato ad una storia vera. La strana coppia formata da Philippe e Driss ha commosso e divertitola Francia. Conquistandoil record di secondo film francese più visto di sempre! Dopo un incidente di parapendio che l’ha paralizzato dal collo in giù, il ricco aristocratico Philippe (François Cluzet) ha bisogno di qualcuno che si occupi costantemente di lui, che lo porti in giro e che accontenti ogni sua richiesta, e assume come badante Driss (Omar Sy), un giovane algerino dalla pelle scura appena uscito dal carcere. Insieme cercano di fare coabitare Vivaldi con gli Earth Wind and Fire, il parlare forbito con lo slang, i vestiti eleganti con le tute da ginnastica… Sono due universi che si guardano attraverso un telescopio, cercando di addomesticarsi a vicenda per far nascere una delle amicizie più folli, divertenti e inaspettate. Una relazione unica che farà scintille e li renderà… Intoccabili. Il film in un epoca caratterizzata dalle fratture sociali, propone un messaggio di riconciliazione, offre una speranza. È un soggetto grave affrontato con leggerezza: una boccata d’ossigeno…


Sii tu il tuo miracolo!

Articolo pubblicato sul numero 480 del “Settimanale di Bagheria”

Qualche giorno fa’ tornando a Bagheria, da Palermo, sono rimasto bloccato per diversi minuti in viale Regione Siciliana. «E quannu mai!», mi sono detto. Ma lo stop forzato mi ha permesso di osservare con un certo interesse un cartellone in cui campeggiava un manifesto della campagna pubblicitaria di Piazza Italia, una azienda di abbigliamento italiana, fondata nel 1993 a Nola dai fratelli Antonio, Luigi e Francesco Bernardo, che oggi conta 1700 dipendenti e fattura 350 milioni di euro all’anno. Cosa c’era di tanto straordinario in quel cartellone? La faccia intensa di un macellaio, fotografato col camice bianco davanti ad alcuni quarti di vitello, e un messaggio altrettanto forte, «I veri miracoli li facciamo noi».  L’azienda nolana, infatti, anziché arruolare le solite modelle (sicuri che non vengano ritoccate col Photoshop!?), ha scelto i volti, molto espressivi, di gente comune, ha deciso quindi per una linea pubblicitaria ad alto impatto comunicativo e, forse, anche un po’ provocatorio. Ha scelto di farlo attraverso volti e storie vere, quelli delle persone comuni che ogni giorno compiono il loro piccolo miracolo. Non c’è distinzione di classe sociale, dall’operaio alla maestra, dal papà con i suoi figli, al medico, dalla cuoca alla studentessa al medico, dalla mamma con i bambini allo studente, il messaggio è trasversale. Guardando il cartellone mi è subito tornato in mente Una settimana da Dio, un film americano del 2003 diretto da Tom Shadyac ed interpretato da Jim Carrey, Morgan Freeman e Jennifer Aniston. Nel film, Jim Carrey è Bruce Nolan, un giornalista televisivo di successo che vive una bella storia d’amore con la fidanzata. Nella sua vita tutto va bene, eppure si sente infelice. Alla fine di una giornata no, Bruce si sfoga, scagliando tutta la propria rabbia su Dio, il quale, però, decide di comparirgli e reagire alle sue accuse, sfidandolo: se Bruce è scontento di Dio, allora proverà per una settimana cosa significa «essere» Dio. È inutile dire che succederà di tutto. Il novello Dio, poco divino e molto umano, farà di tutto per esaudire i propri desideri, tralasciando le necessità del mondo intero. Ma Bruce, alla fine, capendo che essere Dio è più difficile del previsto, si vede costretto a chiedere aiuto al Dio titolare. Quest’ultimo spiegherà a Bruce che i miracoli sono quelle cose speciali che le persone riescono a fare da sole: «Dividere la minestra non è un miracolo, Bruce, è un trucchetto. Una madre sola che deve fare due lavori e che trova ancora il tempo di accompagnare il figlio a scuola di calcio, quello sì che è un vero miracolo. Un adolescente che dice di no alla droga e dice sì all’istruzione, questo è un miracolo. Le persone vogliono che faccia tutto io e non si rendono conto che sono loro ad avere il potere. Vuoi vedere un miracolo, figliolo? Sii il tuo miracolo». In questo momento storico tutti viviamo, chi più chi meno, momenti di scoraggiamento e tristezza. Forse anche noi vorremmo spiegare a Dio come fare il suo mestiere, regalandogli un bel libretto d’istruzioni. Ma se ci fermiamo un attimo a riflettere, ci rendiamo conto che in questo momento di crisi, i veri miracoli vengono fatti ogni giorno da tutti, nel proprio piccolo, nel quotidiano. Studiare, crescere i figli, lavorare e pensare al domani, tenere in piedi un’azienda dalla quale dipendono tante famiglie diventano, infatti, grandi imprese. Ognuno di noi possa essere il suo miracolo.