Archivi tag: Maria

Ha da passà a nuttata

Immacolata Concezione della BVM – 8 Dicembre ‘23

Prima lettura – Gen 3,9-15.20: Porrò inimicizia tra la tua stirpe e la stirpe della donna. Dal Salmo 97: Cantate al Signore un canto nuovo perché ha compiuto meraviglie. Seconda lettura – Ef 1, 3-6. 11-12: In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo. Vangelo – Lc 1,26-38: Ecco, concepirai un figlio e lo darai alla luce.

L’8 dicembre 1854 con la Bolla «Ineffabilis Deus», Pio IX proclamava il dogma dell’Immacolato concepimento di Maria. Il papa ratificava una verità già creduta e professata praticamente da sempre. Pio IX scriveva nella bolla: «Dio ineffabile fin dal principio e prima dei secoli scelse e preordinò al suo Figlio una madre, nella quale si sarebbe incarnato e dalla quale poi, nella felice pienezza dei tempi, sarebbe nato; e, a preferenza di ogni altra creatura, la fece segno a tanto amore da compiacersi in lei sola con una singolarissima benevolenza. Per questo mirabilmente la ricolmò, più di tutti gli angeli e di tutti i santi, dell’abbondanza di tutti i doni celesti, presi dal tesoro della sua divinità. Così ella, sempre assolutamente libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, possiede una tale pienezza di innocenza e di santità, di cui, dopo Dio, non se ne può concepire una maggiore, e di cui, all’infuori di Dio, nessuna mente può riuscire a comprendere la profondità». Il papa dice quindi che Dio «scelse e preordinò al suo Figlio una madre» e la rese «libera da ogni macchia di peccato». Per dirla in termini terra terra, Maria nasce con l’antivirus installato: in lei non c’è il virus del peccato originale. Nella festa di oggi ricordiamo il giorno in cui Maria, per particolare privilegio, fu concepita, dai suoi genitori (la tradizione apocrifa ce li presenta come Gioacchino e Anna), senza peccato originale. Dio ha posato su Maria il suo sguardo e l’ha preservata da ogni macchia di peccato. È un caso di salvezza preventiva. Attenzione però, Maria non è una privilegiata, non ha ricevuto sconti, non è una divinità aggiuntiva, non è il lato femminile di Dio, non è un automa, remissiva e non libera. Ma la grandezza di Maria non sta nel privilegio, non solo almeno… Ma sta nella sua fede, nella risposta all’iniziativa di Dio. Dio vuole redimere il mondo e chiede collaborazione a una ragazzina di Nazareth, luogo anonimo, sconosciuto, fuori dalle religiosità ufficiale, lontano da Gerusalemme, alla periferia dell’Impero romano. Dio conta su di lei. Il Dio che può tutto, che propone e non dispone, propone a Maria il suo progetto, lei lo valuti ed eventualmente dia il consenso. Questo significa che nel progetto di Dio, c’è spazio per la libertà, anche per il rifiuto eventualmente. Il sì di Maria non è scontato, potrebbe anche dire no, continuerebbe a vivere nella tranquillità, si costruirebbe la sua famiglia alla «Mulino Bianco»! La festa di oggi è la festa del recupero della speranza, della riformulazione del sogno interrotto dal no di Adamo ed Eva. L’abbiamo ascoltato nella prima lettura, Adamo riceve da Dio tutto il giardino: «Usufruisci di tutto, eccetto dell’albero che c’è nel mezzo del giardino». Adamo non ci sta, non può accettare i limiti. Il dubbio lo afferra: «Dio è cattivo, mi vuole privare della mia libertà! Forse che non sia così buono come voglia farci credere?». Adamo mangia l’immangiabile. Il giocattolo si rompe. Gli effetti del peccato non tardano ad arrivare. L’uomo fugge dinanzi a Dio, adesso ha paura di lui. Ma Dio si pone sulle tracce dell’uomo: è più interessato all’uomo che alla sua trasgressione. Quando Dio trova Adamo, non gli fa lunghi discorsi, ma gli pone solo delle domande. «Dove sei?» (Gn 3,9). Il dove della domanda dice di più del nostro avverbio di luogo. Dio fa questa domanda perché è sorpreso di non trovare Abramo lì dove dovrebbe stare, lì dove se lo aspetterebbe. E come se Dio chiedesse: «Adamo, ma dove sei finito? Dove ti sei cacciato? Come mai sei caduto così in basso?». La stessa domanda Dio la fa a noi ogni qualvolta, a causa del nostro peccato, ci ritroviamo ad essere lì dove lui non si aspetterebbe di trovarci. Chiediamoci: «Dove siamo finiti? Dove ci siamo cacciati?». «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?» (Gn 3,11). L’uomo ha mancato a un invito di Dio e come risultato scopre la sua nudità, la sua vulnerabilità. «La donna che tu mi hai posto accanto» (Gn 3,12). E dinanzi a Dio l’uomo mostra i sintomi dell’ALTRITE, l’incapacità a riconoscere i proprio errori. Inizia lo scaricabarile con Eva, la quale, a sua volta, accuserà del tutto il serpente. Nonostante la tragedia però, Dio non emette condanne, ma invita Adamo a pensare: «Vedi dove sei finito, guarda dove ti ha condotto il tuo non esserti consegnato al progetto che Dio ha scritto in te»… Ma nonostante la delusione, il Signore lancia una promessa che è speranza certa: «il male non vincerà». Sembra di sentire le parole di che Gennaro dice alla moglie Amalia in «Napoli milionaria» di Eduardo de Filippo: «Ha da passà a nuttata!». E la notte passa… E la promessa di Dio si realizza nel Vangelo che abbiamo ascoltato, dove c’è la controparte di Adamo. Le parole di Dio non «Sono solo parole» come canta Noemi. Maria, una ragazzina con i suoi progetti di vita (essere donna, essere madre), è disposta a ridisegnare tutto per Dio, pur senza garanzie e senza alcun sostegno. Maria è disposta ad «alloggiare» il Signore, a fidarsi di lui, diversamente da quanto ha fatto Adamo, incapace di fidarsi di Dio. Un angelo, Gabriele è mandato a Nazareth, una oscura borgata della Galilea, nella periferia dell’Impero, a chiedere la collaborazione di Maria. «Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1,28). Gabriele dice più di un saluto a Maria… Sembra dire: «Sii felice, Maria, Dio ha posto i suoi occhi su di te. Vuoi essere porta d’ingresso di Dio nel mondo? Vuoi essere terra del cielo?». «A queste parole ella fu molto turbata» (Lc 1,29). Maria fatica, arranca: non è cosa di tutti i giorni essere coinvolti nel mistero di Dio! Maria avverte pienamente la sproporzione tra la verità delle parole che le sono state comunicate, rispetto a quanto conosce di se stessa. Il Signore vuole fare una «joint-venture» con Maria, «vuole entrare in società» con lei. «Non temere, Maria! (Lc 1,30), se Dio si nasconde in un embrione, se Dio riparte da zero, se Dio scommette su di te, se Dio entra nell’ordinario della tua quotidianità». «Non temere, Maria! (Lc 1,30), credi nel Dio dell’impossibile! Non mettere ostacoli. Nulla gli è impossibile!». E Maria dice «Sì», accetta di fidarsi di Dio, non ha paura, quella paura che di Dio ha avuto Adamo. Quanto è durato l’incontro tra Gabriele e Maria? Mi piace pensare che per tutta la sua durata, Dio abbia imposto di fare silenzio all’interno del Paradiso: deve ascoltare quel Sì, niente e nessuno deve impedirgli di farlo! Ma il «Sì» di Maria non è cieco, o privo di libertà. Il suo farsi mille domande, il fare delle richieste a Gabriele è segno di una vera umanità e non di mancanza di fede. Maria arriva al suo «Sì» attraversando sentimenti umanissimi che lo rendono un «Sì» cosciente, fermo, vero. Maria dice «Sì» al sogno di Dio, dice «Sì» a un sogno di felicità. E noi, siamo disposti a dire «Sì» a Dio? Ci fidiamo di lui? O gli dettiamo le nostre condizioni? Maria oggi ci sprona a valutare la qualità dei nostri «Sì». Dio ha scommesso tutto sull’uomo, su Adamo, ma ha perso. Adesso ci riprova. Scommette ancora. Posa il suo sguardo su Maria, nel momento del suo concepimento. Posa il suo sguardo su te, su me, su noi: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati» (Ef 1,4). Siamo frutto dell’amore di Dio. Il suo cuore ci pensa e veniamo alla luce. Agostino dice: «Tu, chiunque tu sia, sei ‘caro a Dio’, sei uscito dal suo cuore. Prima che dal grembo di tua madre, sei amato da lui come fossi solo, l’unico, l’ultimo». Festeggiare l’Immacolata ci porta a ricordarci che ciò che inquina, sporca l’uomo è il peccato. Il mondo di oggi ha perso il senso del peccato, almeno quello proprio. Viviamo l’anestesia spirituale, siamo sotto narcosi da peccato. Basta guardare gli spot pubblicitari che esaltano il peccato: «Vivi senza regole!», «Peccato non farlo!». Oggi anziché liberarsi dal peccato, ci si concentra sul liberarsi dai sensi di colpa e poi siamo tutti affetti da ALTRITE. Festeggiare l’Immacolata ci ricorda che nonostante il peccato, Dio chi ha salvati, Dio ci ha amati, ci ricorda che siamo chiamati a essere copie conformi all’originale, conformi a Maria, nuova Eva. È vero che Maria ci colpisce e ci affascina, anche perché ne abbiamo fatto un’extraterrestre, una fuori ordinario, con i superpoteri. Ma riscopriamo Maria come esempio di discepolato, come testimonianza che vale la pena essere di Cristo, come segno che Dio, se lo si incontra, cambia la vita, da’ gusto alla vita. Riscopriamo Maria che è stata «solo» capace di accettare il sogno di Dio per lei e per l’umanità. Torni a risplendere in noi il coraggio di scegliere il Signore soltanto e non il Signore soprattutto. Riacquistiamo il coraggio di scegliere Dio nonostante le legittime paure del domani. Viviamo da amati, viviamo da redenti, viviamo salvati, viviamo da cristiani, perché essere di Dio ne vale la pena!


L’antivirus di Maria

Immacolata Concezione della BVM – 8 Dicembre ‘23

Prima lettura – Gen 3,9-15.20: Porrò inimicizia tra la tua stirpe e la stirpe della donna. Dal Salmo 97: Cantate al Signore un canto nuovo perché ha compiuto meraviglie. Seconda lettura – Ef 1, 3-6. 11-12: In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo. Vangelo – Lc 1,26-38: Ecco, concepirai un figlio e lo darai alla luce.

L’8 dicembre 1854 con la Bolla «Ineffabilis Deus», Pio IX proclamava il dogma dell’Immacolato concepimento di Maria. Il papa ratificava una verità già creduta e professata praticamente da sempre. Pio IX scriveva nella bolla: «Dio ineffabile fin dal principio e prima dei secoli scelse e preordinò al suo Figlio una madre, nella quale si sarebbe incarnato e dalla quale poi, nella felice pienezza dei tempi, sarebbe nato; e, a preferenza di ogni altra creatura, la fece segno a tanto amore da compiacersi in lei sola con una singolarissima benevolenza. Per questo mirabilmente la ricolmò, più di tutti gli angeli e di tutti i santi, dell’abbondanza di tutti i doni celesti, presi dal tesoro della sua divinità. Così ella, sempre assolutamente libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, possiede una tale pienezza di innocenza e di santità, di cui, dopo Dio, non se ne può concepire una maggiore, e di cui, all’infuori di Dio, nessuna mente può riuscire a comprendere la profondità». Il papa dice quindi che Dio «scelse e preordinò al suo Figlio una madre» e la rese «libera da ogni macchia di peccato». Per dirla in termini terra terra, Maria nasce con l’antivirus installato. Nella festa di oggi ricordiamo il giorno in cui Maria, per particolare privilegio, fu concepita senza peccato originale. Dio ha posato su Maria il suo sguardo e l’ha preservata da ogni macchia di peccato. È un caso di salvezza preventiva. Attenzione però, Maria non è una privilegiata, non ha ricevuto sconti, non è una divinità aggiuntiva, non è il lato femminile di Dio, non è un automa, remissiva e non libera. Ma la grandezza di Maria non sta nel privilegio, non solo almeno… Ma sta nella sua fede, nella risposta all’iniziativa di Dio. Dio vuole redimere il mondo e chiede collaborazione a una ragazzina di Nazareth, luogo anonimo, sconosciuto, fuori dalle religiosità ufficiale, lontano da Gerusalemme, alla periferia dell’Impero romano. Dio conta su di lei. Il Dio che può tutto, che propone e non dispone, propone a Maria il suo progetto, lei lo valuti ed eventualmente dia il consenso. Questo significa che nel progetto di Dio, c’è spazio per la libertà, anche per il rifiuto eventualmente. Il sì di Maria non è scontato, potrebbe anche dire no, continuerebbe a vivere nella tranquillità, si costruirebbe la sua famiglia alla «Mulino Bianco»! La festa di oggi è la festa del recupero della speranza, della riformulazione del sogno interrotto dal no di Adamo ed Eva. L’abbiamo ascoltato nella prima lettura, Adamo riceve da Dio tutto il giardino: «Usufruisci di tutto, eccetto dell’albero che c’è nel mezzo del giardino». Adamo non ci sta, non può accettare i limiti. Il dubbio lo afferra: «Dio è cattivo, mi vuole privare della mia libertà!». Adamo mangia l’immangiabile. Il giocattolo si rompe. Gli effetti del peccato non tardano ad arrivare. L’uomo fugge dinanzi a Dio, adesso ha paura di lui. E dinanzi a Dio l’uomo mostra i sintomi dell’ALTRITE, l’incapacità a riconoscere i proprio errori. Inizia lo scaricabarile con Eva. Nonostante la tragedia però, Dio non emette condanne, ma invita a pensare: «Adamo, vedi dove sei finito, guarda dove ti ha condotto il tuo non esserti consegnato al progetto di Dio che è scritto in te»… Alla fine il Signore lancia una promessa che è speranza certa: «il male non vincerà». E la promessa si manifesta nel Vangelo, dove c’è la controparte di Adamo. Maria, una ragazzina con i suoi progetti di vita (essere donna, essere madre) è disposta a ridisegnare tutto per Dio, pur senza garanzie e senza alcun sostegno. Maria è disposta ad «alloggiare» il Signore, a fidarsi di lui, diversamente da quanto ha fatto Adamo, incapace di fidarsi di Dio. Un angelo, Gabriele è mandato a chiedere la collaborazione di Maria. «Sii felice, Maria, Dio ha posto i suoi occhi su di te. Vuoi essere porta d’ingresso di Dio nel mondo? Vuoi essere terra del cielo?». Maria fatica: non è cosa di tutti i giorni essere coinvolti nel mistero di Dio! Il Signore vuole fare una «joint-venture» con Maria, «vuole entrare in società» con lei. «Non temere, Maria! (Lc 1,30), se Dio si nasconde in un embrione, se Dio riparte da zero, se Dio scommette su di te, se Dio entra nell’ordinario della tua quotidianità». «Non temere, Maria! (Lc 1,30), credi nel Dio dell’impossibile! Non mettere ostacoli. Nulla gli è impossibile!». E Maria dice «Sì», accetta di fidarsi di Dio. Mi piace pensare che Dio abbia imposto di fare silenzio all’interno del Paradiso: deve ascoltare quel Sì, niente e nessuno deve impedirgli di farlo! Ma il «Sì» di Maria non è cieco, o privo di libertà. Il suo farsi mille domande, il fare delle richieste a Gabriele è segno di una vera umanità e non di mancanza di fede. Maria arriva al suo «Sì» attraversando sentimenti umanissimi che lo rendono un «Sì» cosciente, fermo, vero. Maria dice «Sì» al sogno di Dio, dice «Sì» a un sogno di felicità. E noi, siamo disposti a dire «Sì» a Dio? Ci fidiamo di lui? O gli dettiamo le nostre condizioni? Maria oggi ci sprona a valutare la qualità dei nostri «Sì». Dio ha scommesso tutto sull’uomo, su Adamo, ma ha perso. Adesso ci riprova. Scommette ancora. Posa il suo sguardo su Maria, nel momento del suo concepimento. Posa il suo sguardo su te, su me, su noi: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati» (Ef 1,4). Siamo frutto dell’amore di Dio. Il suo cuore ci pensa e veniamo alla luce. Agostino dice: «Tu, chiunque tu sia, sei ‘caro a Dio’, sei uscito dal suo cuore. Prima che dal grembo di tua madre, sei amato da lui come fossi solo, l’unico, l’ultimo». Festeggiare l’Immacolata ci porta a ricordarci che ciò che inquina, sporca l’uomo è il peccato. Il mondo di oggi ha perso il senso del peccato, almeno quello proprio. Viviamo l’anestesia spirituale, siamo sotto narcosi da peccato. Basta guardare gli spot pubblicitari che esaltano il peccato: «Vivi senza regole!», «Peccato non farlo!». Oggi anziché liberarsi dal peccato, ci si concentra sul liberarsi dai sensi di colpa e poi siamo tutti affetti da ALTRITE. Festeggiare l’Immacolata ci ricorda che nonostante il peccato, Dio chi ha salvati, Dio ci ha amati, ci ricorda che siamo chiamati a essere copie conformi all’originale, conformi a Maria, nuova Eva. È vero che Maria ci colpisce e ci affascina, anche perché ne abbiamo fatto un’extraterrestre, una fuori ordinario, con i superpoteri. Ma riscopriamo Maria come esempio di discepolato, come testimonianza che vale la pena essere di Cristo, come segno che Dio, se lo si incontra, cambia la vita, da’ gusto alla vita. Riscopriamo Maria che è stata «solo» capace di accettare il sogno di Dio per lei e per l’umanità. Torni a risplendere in noi il coraggio di scegliere il Signore soltanto e non il Signore soprattutto. Riacquistiamo il coraggio di scegliere Dio nonostante le legittime paure del domani. Viviamo da amati, viviamo da redenti, viviamo salvati, viviamo da cristiani, perché essere di Dio ne vale la pena!


Da una lacrima sul viso ho capito molte cose

V domenica di Quaresima – Anno A – 26 Marzo 2023

Prima lettura – Ez 37, 12-14 – Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete. Dal Salmo 129:Il Signore è bontà e misericordia. Seconda lettura – Rm 8, 8-11 – Lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi. Vangelo – Gv 11, 1-45 (forma breve: Gv 11,3-7.17.20) – Io sono la resurrezione e la vita.

Celebriamo la Quinta domenica di Quaresima. Abbiamo percorso fino a oggi un cammino che ci ha portato a una conoscenza sempre più profonda della persona di Gesù e del suo mistero. Il brano evangelico che abbiamo ascoltato, che, se ci avete fatto caso, ci racconta la risurrezione di Lazzaro, si colloca, nel Vangelo di Giovanni, come cerniera tra due parti del testo: la vita pubblica di Gesù e la sua passione morte e risurrezione. La risurrezione di Lazzaro è prefigurazione anticipazione della risurrezione del Cristo.

1«Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato.2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”» (Gv 11,1-3). Gesù è al di là del Giordano, ha cambiato aria per un poco. Ha qualche difficoltà a tornare in Giudea, perché i capi religiosi di Israele lo hanno minacciato. Mentre è fuori, gli giunge notizia che Lazzaro, l’uomo che lo aveva ospitato ogni volta che, con i suoi discepoli, scendeva in Giudea, è gravemente malato. Le sorelle fanno leva sull’amicizia che lega il loro fratello con il Maestro e non dicono «nostro fratello è malato», ma mandano a dire «Signore, ecco, colui che tu ami è malato» (Gv 11, 3). A questo punto, ci aspetteremmo che, di corsa, il Maestro vada a Betania, il piccolo paese ai piedi del monte degli Ulivi, a circa tre chilometri da Gerusalemme, dove Lazzaro abita e sta per esalare l’ultimo respiro. E invece, l’evangelista Giovanni annota che 6«Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava» (Gv 11,6). Non c’è che dire, Gesù è un amico! Il suo comportamento è molto ambiguo, anziché precipitarsi al capezzale di Lazzaro morente, si trattiene ancora nel luogo dove si trovava. Meno male che «lo amava» (Cfr. Gv 11,3).

7«Disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”. 8I discepoli gli dissero: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. 9Gesù rispose: “Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui”. 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!”» (Gv 11,7-9.16). Finalmente Gesù si decide ad andare. Sa che ha molto da temere dai Giudei, sa che si sta esponendo a un grosso rischio, ma va lo stesso. Per quanto riguarda Lazzaro, sa che il suo ritardo nel guarirlo è stato solo propedeutico al resuscitarlo.

17«Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro. 21Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. 23Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. 24Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”. 25Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. 27Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11,17.20-22). «Finalmente sei arrivato!», Marta con rabbia accoglie Gesù. E arriva pure a rinfacciargli che se lui fosse stato lì, se si fosse degnato di arrivare prima, se non avesse perso tempo, quasi certamente Lazzaro non sarebbe morto. È il rimprovero per una aspettativa delusa: se lui, l’Amico, fosse stato presente, avrebbe guarito Lazzaro. «Tu potevi evitare tutto questo, perché hai tardato? Perché non sei intervenuto?». La protesta di Marta è la stessa protesta nostra, la stessa protesta che ci sgorga dal cuore quando viviamo la sofferenza estrema e ci sentiamo abbandonati da Dio. Anche noi ci poniamo gli stessi interrogativi. Anche noi abbiamo delle aspettative, nutriamo delle attesa da Dio. Siamo suoi amici, non dovrebbero succederci disgrazie, le nostre vite dovrebbero essere, non dico in discesa, ma almeno in pianura. E invece sperimentiamo silenzi, sconfitte, solitudini e anche la morte, che giunge a scrivere la parola «FINE. «Anche la Speme, Ultima Dea, fugge i sepolcri» (Dei Sepolcri, 16-17), dice Ugo Foscolo.

«23Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. 24Gli rispose Marta: “So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”. 25Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?”. 27Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (Gv 11, 23-27). Il Maestro non cerca giustificazioni: Dio, il nostro Dio, non si offende per le nostre grida di rabbia. Tuttavia cerca di prendere per mano Marta e portarla a credere in lui: «Tuo fratello risorgerà» (Gv 11,23). Marta replica con una risposta preconfezionata: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno» (Gv 11,24). Ha buona volontà e si sforza di credere in qualcosa che la possa consolare, ma nulla riesce a lenire il dolore per il fratello morto.

28«Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: “Il Maestro è qui e ti chiama”. 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”» (Gv 11, 28-32). Anche Maria mostra a Gesù il suo dolore scaturito dalla morte del fratello, ma soprattutto per la delusione provocata dall’assenza del Maestro.

33«Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”. 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: “Guarda come lo amava!”. 37Ma alcuni di loro dissero: “Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”» (Gv 11, 33-37). A questo punto succede qualcosa di inaudito: Gesù si commuove, si turba, letteralmente, si sdegna, sbuffa. Il Signore si sdegna come per dire: «Non era questo il progetto di Dio. La morte e il dolore non sono stati introdotti nel mondo dal Creatore». Le lacrime ci fanno scoprire quanto errata sia la visione di un Gesù anaffettivo che ci è stato consegnato dalla tradizione. Gesù è emotivo come noi, sperimenta la fragilità del suo cuore pienamente umano. Potremmo usare le parole di una canzone di Bobby Solo: «Da una lacrima sul viso ho capito molte cose… Ora so cosa sono per te» (Una lacrima sul viso, 1964). Quelle lacrime di Gesù ci dicono che il nostro Dio non ci evita il dolore, ma lo condivide, si siede accanto a noi e piange con noi e come noi. In quelle lacrime è racchiuso tutto il dolore di Gesù per l’umanità che ha rifiutato il sogno di Dio e per questo ha conosciuto la morte.

38«Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: “Togliete la pietra!”. Gli rispose Marta, la sorella del morto: “Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni”. 40Le disse Gesù: “Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?”. 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. 43Detto questo, gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”. 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: “Liberatelo e lasciatelo andare”» (Gv 11,38-44). Lazzaro è morto da quattro giorni, il suo cadavere manda cattivo odore. Lazzaro, «Dio aiuta», diventa il simbolo di una situazione umana incontrovertibile, senza sbocchi. «Ormai non c’è più nulla da fare!», sembrano dire, rassegnate, Marta e Maria. Ma Gesù non si ferma, Dio non è sordo al nostro dolore.

«Togliete la pietra!» (Gv 11,39). «Vieni fuori!» (Gv 11,43). «Liberatelo e lasciatelo andare» (Gv 11,44). Questi inviti sono rivolti anche a noi. Il centro di tutto il racconto non è la descrizione delo miracolo della risurrezione di Lazzaro, quanto la manifestazione di Gesù vita che va aldilà della morte. Apriamo il sepolcro dei nostri egoismi, del nostro peccato, facciamo irrompere la vita, facciamo irrompere Cristo. Ricordiamoci che la vera morte è quella di chi non accoglie il messaggio di salvezza che il Padre ci ha detto in Gesù. Non dobbiamo annunciare un Gesù che fa miracoli per metterlo di fronte a quelli che non credono, ma dobbiamo mostrare la conversione che il Signore opera in coloro che credono in lui. Solo così rinnoveremo il mondo. E pure noi.


San Giuseppe? Immenso!

Solo tu, Giuseppe, potevi capire Maria. Ti ha parlato di Jahvé. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell’universo e più alto del firmamento che vi sovrasta. Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, dì dirle addio, e di dimenticarla. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore, e le dicesti tremando: «Rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria. Purché mi faccia stare con te». Lei ti rispose di «Sì», e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente. Si è fatto tardi, Giuseppe. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. C’è Maria che ti aspetta. Ti  prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire. Buona notte, Giuseppe (Tonino Bello, La carezza di Dio).


Quarta Domenica di Avvento

«Beata colei che ha creduto che le parole del Signore si compiono!» (Lc 1,45).

La grandezza di Maria consiste nella sua fede,nel suo aderire con tutta se stessa alla promessa di Dio, nel suo saper “fare spazio” dentro di sé al Dio Bambino. Il Signore che viene possa trovare spazio nel tuo cuore, facendo di te un’occasione di gioia e di salvezza per chiunque incontrerai. Buona IV di Avvento.


Domenica della Santa Famiglia

«Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre» (Mt 2,14).

La famiglia di Nazaret non è certo una famiglia senza problemi e il Vangelo, oggi, ci da un sostanzioso assaggio dei suoi guai. Proprio oggi che la famiglia è o quella incantata del Mulino Bianco (una volta almeno, ora c’è Banderas che parla alla gallina…) o un’istituzione superata, sponsorizzata da quattro trogloditi, la famiglia di Nazaret ci dice che Dio ha voluto nascere come uno di noi, vivere come ognuno di noi, inserendosi nelle vicende buone e cattive della storia, nella precarietà dei giorni, nell’incombenza di rischi ed emergenze, per dirci “semplicemente” che la salvezza non si manifesta nelle condizioni ideali, ma si realizza nella vita reale e proprio per questo non c’è vita che non meriti di essere vissuta. Buona domenica della Santa Famiglia.


Insieme

Santa Famiglia – 31 Dicembre ’24

Prima lettura – Sir 3, 3-7.14-17a – Chi teme il Signore onora i genitori. Dal Salmo 127: Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie. Seconda lettura – Col 3, 12-21 – Vita familiare cristiana, secondo il comandamento dell’amore. Vangelo – Mt 2, 13-15. 19-23 – Prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.

Non più tardi di tre/quattro giorni fa abbiamo gioito per la nascita del Dio bambino, del Dio che è venuto a mettere su famiglia in mezzo a noi. Oggi la liturgia ci ricorda proprio che Gesù ha avuto bisogno di una famiglia e che in quella ha ricevuto quello che ogni figlio ha bisogno: l’amore di un padre e di una madre. Dio, cioè, ha voluto sperimentare l’esperienza di avere una famiglia tutta sua, per ricordarci, tra l’altro, che la salvezza non è estranea alla vita ordinaria, quotidiana, feriale degli uomini. Di solito, tendiamo a idealizzare la Famiglia di Nazareth, finendo per allontanarla dalla nostra vita concreta. Ma dalla pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, nulla lascia trasparire qualcosa di esemplare. La Famiglia di Nazareth è un qualcosa di unico e di non ripetibile nella storia. Diciamocelo francamente, non c’è nulla di «sacro» (letteralmente «intoccabile»), ma c’è tanto di «santo» (cioè la capacità di corrispondere al disegno divino) in essa: c’è una donna, Maria, che è madre ma vergine; c’è un uomo, Giuseppe, padre reale, ma non naturale; c’è un figlio, Gesù, unico in tutti i sensi. In quanto famiglia umana ha vissuto le gioie e le sofferenze sperimentate da qualsiasi altra famiglia, percorrendo anche cammini fatti di crisi, di incomprensibili silenzi. Maria e Giuseppe sono una coppia che ha visto la propria vita ribaltata dall’azione di Dio. E quanta fede hanno avuto questi due ragazzi di Nazareth per dirsi che quel bambino, identico a tutti gli altri bambini, era il Figlio di Dio. La Famiglia di Nazareth è certamente un esempio, ma la loro non è stata vita facile. Non hanno avuto sconti, agevolazioni, esenzioni ticket, sussidi, privilegi. Ma sono rimasti uniti. Il Vangelo di oggi, lo abbiamo ascoltato, ci presenta la Famiglia di Nazareth, non in un momento idilliaco, ma in un momento drammatico: abbiamo dinanzi agli occhi una famiglia di esuli, di profughi, di extracomunitari senza permesso di soggiorno, di rifugiati politici. La drammaticità di quei momenti è stata fissata su tanti dipinti da diversi artisti nel corso dei secoli, ma credo che, tra questi, quello con maggiore pregnanza sia la «Fuga in Egitto» di Renato Guttuso (Sacro Monte, Varese, 1983). «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Il pericolo si chiama Erode. Sarà pure passato alla storia come Erode il Grande, ma di grande ha avuto solo la grande voglia di eliminare tutti i possibili avversari. Salito al trono di Israele in maniera illegittima (non ha sangue giudeo) cerca di conservare il suo potere con ogni mezzo e in ogni modo, senza risparmiare nessuno. Chi tocca la corona muore! Gli storici hanno compilato il lungo elenco delle sue vittime e tra queste risaltano la seconda moglie Mariamme (in totale ne ha avute 9) e quattro figli Alessandro e Aristobulo, fatti uccidere dal loro fratello Ferora (eliminato successivamente con un drink al veleno) e Antipatro, fatto uccidere da Erode cinque giorni prima della sua morte, mentre è in agonia. Data la ferocia verso i suoi familiari, è inevitabile che Erode abbia agito con la stessa crudeltà verso i pericoli esterni. Non ci stupisce dunque che appresa la notizia della nascita del Messia, del re dei giudei (Mt 2,2), Erode decida misure drastiche e faccia uccidere tutti i bambini che hanno la sua stessa età. È la strage degli innocenti, colpevoli solo di essere nati nello stesso posto e nello stesso periodo del Messia (Mt 2,16). «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, e va’ nella terra d’Israele» (Mt 2,13). Giuseppe ha sempre il radar acceso, è sempre in ascolto e riesce a captare ogni invito che gli viene da Dio. Finalmente può tornare nella sua terra, tra la sua gente. Decide però che è meglio non andare in Giudea perché al posto di Erode è salito al trono il figlio Archelao non meno sanguinario del padre e si trasferiscono a Nazareth. Da questo momento in poi, fatta eccezione per l’episodio dello smarrimento di Gesù al Tempio, non abbiamo più notizie della Famiglia di Nazareth. Scende su Giuseppe, Maria e Gesù il silenzio del quotidiano, della ferialità. La Famiglia che Dio si è scelto si inserisce nelle vicende buone e cattive del suo tempo, nella precarietà dei giorni, nell’incombenza di rischi ed emergenze e riesce a trovare nella fede la propria serenità. Di questi tempi tutti dissertano sulla crisi della famiglia tradizionale, ci stanno convincendo che la famiglia è decaduta, ha fatto il suo tempo. Nell’epoca della precarietà e del tempo determinato, del tutto a breve termine, pare che la famiglia debba adeguarsi e bisogna stare insieme finché la vita non separi i cammini. Ma nessuno può negare che la famiglia è e resta il cuore del nostro percorso di vita. È vero che assistiamo a una fuga dalla famiglia, ma essa non è un retaggio culturale sponsorizzato da qualche troglodita cattolico, così come sostengono i tifosi dell’anarchia affettiva. È paradossale che chi ha famiglia non la vuole e chi non può averla la pretende. Scoprire oggi che anche la Famiglia di Nazareth, santa per eccellenza, ha avuto le sue crisi, le sue dosi di incomprensioni, probabilmente ci rincuora, ma va sottolineato che c’è una differenza: affrontano «insieme» ogni cosa che la quotidianità gli mette innanzi, si custodiscono a vicenda, avendo una centralità, Dio. Quello che manca a noi, alle nostre famiglie «cristiane» è l’avverbio «insieme»… Ci si può smarrire ma non perdiamoci… Facciamo convergere le nostre vite, facciamo convergere i nostri spazi e i nostri tempi. E ritroveremo il gusto dello stare insieme.


Volar sanz’ali

Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz’ali (Dante, Paradiso, XXXII, 13-15).


Liberamente al dimandar precorre

La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre (Dante, Paradiso, XXXII, 16-18).