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Anche i ricchi piangono!

XXVI per Annum – 25 settembre 2022

Prima lettura – Am 6, 1a.4-7 Ora cesserà l’orgia dei dissoluti. Dal Salmo 145: Loda il Signore, anima mia. Seconda lettura – 1Tm 6, 11-16 Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore. Vangelo – Lc 16, 19-31 Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti

Il Vangelo di domenica scorsa si concludeva, se vi ricordate, con una frase forte e chiara di Gesù: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16,13), come a dire: «Chi segue Dio, o si candida a essere suo discepolo, sappia che si è scelto un Dio parecchio geloso, che non accetta che i cuori dei suoi followers possano essere divisi su più amori!». A quelle parole del Signore, così ci riporta Luca, erano seguiti i commenti divertiti e sarcastici dei farisei: «I farisei, che erano attaccati al denaro ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui» (Lc 16,14). In altri termini, i farisei prendono Gesù per scimunito, d’altronde loro, da una vita, riescono a tenere il piede in due scarpe servendosi di Dio (che apparentemente servono) per arricchirsi. Probabilmente qualcuno dei farisei avrà pure detto a Gesù: «Tu dici che ricchezza e Dio fanno a pugni… E come la mettiamo con la teoria della retribuzione?». Questa concezione, molto apprezzata dai farisei, sosteneva che le ricchezze e i beni che si possiedono sono frutto della benedizione di Dio, pertanto chi è ricco è un benedetto da Dio, chi è povero è un maledetto, uno che, da Dio, può avere solo riprovazione. Con la parabola che ci ha raccontato oggi, quella del ricco epulone (manciatario)e di Lazzaro il povero, il Maestro contesta la teoria della retribuzione e ricorda che la ricchezza, specie se mal usata, può diventare fonte di guai seri. Ma vediamo nel dettaglio la storia che Gesù racconta. «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti» (Lc 16,19). C’è un uomo veramente ricco e questo c’è lo dice il suo abbigliamento, tutto griffato, tutto D&G, CK, Armani o Versace, ma soprattutto il suo potersi permettere di non lavorare e di avere la casa perennemente piena di invitati. È una specie di Paperon de’ Paperoni, uno di quelli che nella classifica degli uomini più ricchi del mondo, stilata annualmente da Forbes, occuperebbe certamente i primi posti. È uno che quando vede soldi diventa cieco, annuorba. È un uomo certamente famoso, di quelli che oggi finiscono sulle pagine patinate, che hanno sempre i paparazzi appostati sotto casa, ma di lui, il Signore non ci fornisce il nome. «(C’era anche) Un povero, di nome Lazzaro. Bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco» (Lc 16,20-21). Lazzaro è un povero cristo, un disperato, un diunu&mortodifame, di cui nessuno si preoccupa, di cui nessuno si interessa, che nessuno cerca. Figurarsi se a qualcuno interessa come si chiama quel pezzente. Eppure, di lui, Gesù ci dice il nome. E per giunta è un bel nome (certo non lo metterei a mio figlio!), El Azar, Dio aiuta, Dio soccorre. Se dovessimo applicare la teoria della retribuzione, dovremmo dire che il ricco è un uomo giusto, benedetto da Dio e le sue ricchezze ne sono la dimostrazione, mentre Lazzaro sarà certamente un peccatore seriale e la sua povertà e la sua esistenza penosa lo gridano a chiare lettere. Invece… «Un giorno il povero morì… Morì anche il ricco» (Lc 16,21). I due uomini hanno un punto in comune: la loro condizione mortale, per entrambi arriva la morte. E quando la morte arriva non fa altro che segnare definitivamente il loro non incontro, la separazione. La situazione terrena si ribalta nell’aldilà: Lazzaro adesso è felice, frequenta il jetset del Paradiso, i pezzi grossi, mentre il ricco prova per la prima volta l’esperienza del bisogno. «(Il ricco) Stando negli inferi, tra i tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abramo e Lazzaro» (Lc 16, 23). Una volta nel bisogno, il ricco alza gli occhi, quegli stessi occhi che, in terra, non si erano mai abbassati a guardare Lazzaro, che non si erano manco accorti delle sue necessità, adesso lo vedono accanto a, nientepopòdimenoche, Abramo. Usando il titolo di una famosa telenovelas sudamericana del ’79, che aveva come star indiscussa Veronica Castro nel ruolo di Mariana, potremmo dire «anche i ricchi piangono». «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua» (Lc 16,24). Qui si svela un mezzo patatrac: il ricco sa il nome di Lazzaro! Questo ci dice che lo conosce e che, probabilmente, qualche volta, con sguardo tra il disgustato e l’indifferente, si sarà accorto di quel poveraccio davanti alla sua porta, così vicino, che se non ci stavi attento potevi inciamparci. Fare apposta a non vederlo era stato più comodo che dare una mano di aiuto. L’uomo pensa ancora che tutto gli sia dovuto e continua a impartire ordini, stavolta anche ad Abramo. Il ricco non è descritto come una persona particolarmente cattiva, ma, semplicemente, come un uomo totalmente assorbito dalle sue cose, dai suoi affari, dai piaceri della vita. La sua condanna non è per le azioni, ma per le sue omissioni. È vero, non ha fatto nulla di male, ma nemmeno bene! Il suo peccato è l’indifferenza, che è il contrario dell’amore. «Tra noi e voi è fissato un abisso» (Lc 16, 26). Gesù non vuole impaurirci descrivendo «le pene dell’inferno», né tantomeno vuole presentarci un Dio che si lega tutto al dito e che al momento opportuno ci fa pagare il conto, ma, semplicemente, ci ricorda che arriverà un momento in cui «sarà troppo tardi!». Il giudizio finale ce lo giochiamo «qui e ora», l’ultimo giorno non farà altro che svelare la qualità della nostra vita quotidiana. La morte sarà l’ora della verità, svelerà l’«opzione fondamentale», la scelta che, giorno dopo giorno, avremo messo in atto. Al Signore non interessa, allora, dirci come è l’aldilà, ma vuole insegnarci come vivere l’aldiquà, per preparare il nostro aldilà. In una canzone Baglioni cantava: «La vita è adesso» e un vecchio spot della Vodafone diceva: «Life is now». Togliamoci dalla testa che è Dio che ci metterà all’Inferno, in Purgatorio o in Paradiso: resteremo lì dove, da soli, con le nostre mani e con la nostra vita, ci saremo messi. Ricordiamo la grande affermazione di Agostino: «Chi creò te, senza di te, non salverà te, senza di te». «Ti prego di mandare Lazzaro nella casa di mio padre» (Lc 16,27). Il ricco si accorge, troppo tardi, che nella vita terrena ha sbagliato tutto e si ricorda dei cinque fratelli che, certamente, di lì a poco, rischia di ritrovarsi come compagni di sventura e invita Abramo a resuscitare Lazzaro, perché così, certamente, i suoi si ravvedranno. «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Lc 16,31). Con queste parole, Abramo risponde alle richieste di miracoli, segni e prodigi, che secondo il ricco, potranno far cambiare vita ai suoi fratelli. Gesù fa dire ad Abramo che le apparizioni sono semplicemente prurito religioso, rischiano di diventare uno spettacolo fine a se stesso. I miracoli o le visioni non sono capaci di cambiare il cuore. Non bastano i miracoli per suscitare la fede. Non servono fatti straordinari per giungere alla salvezza, serve «solo» guardarsi attorno e accorgersi degli altri, serve «solo» prendere il Vangelo e accorgersi dello spettacolo della Rivelazione che è l’unico che Dio ci ha donato.