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Attendere, prego!

XVI per Annum – 23 luglio 2023

Prima lettura – Sap 12,13.16–19: Dopo i peccati, tu concedi il pentimento. Dal Salmo 85:Tu sei buono, Signore, e perdoni. Seconda lettura – Rm 8,26–27: Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili. Vangelo – Mt 13,24-43: Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura.

La liturgia di questa XVI domenica per Annum ci fa meditare ancora sul capitolo XIII del Vangelo di Matteo, il capitolo del discorso in parabole. Il Signore usa un linguaggio semplice… Desidera che il suo messaggio non sia disperso in formulazioni incomprensibili e irraggiungibili. Non vuole che Dio finisca separato dalla realtà quotidiana degli uomini. Ritroviamo Gesù là dove lo abbiamo lasciato la scorsa settimana: seduto su una barca, ormeggiata nel lago di Genesaret. È un Vangelo estivo: spiaggia, lago (mare), barche… Sulla rive del lago si è radunata la gente, quella gente che sta cominciando a seguirlo con regolarità. Gesù è uno che sa parlare, è un piacere ascoltarlo. Diremmo noi «sapi n’cucchiari» due parole. E Gesù parla, continua la sua «predica».

«Il Regno dei cieli è simile…» (Mt 13, 24).

Gesù continua il suo discorso in parabole, continua a prendere delle immagini della vita quotidiana per «spiegare» come è il Regno di Dio. E attraverso le immagini di oggi (grano e zizzania, granellino di senapa e lievito nella pasta) ci da tre caratteristiche del Regno, mettendoci in guardia da alcune possibile tentazioni. Il Regno è una questione di pazienza («Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura», Mt 13, 24): attenti quindi alla tentazione di sentirsi comunità di eletti, di giusti e dividere il mondo tra buoni (noi!) e cattivi (sempre gli altri!). Il Regno è una questione di piccolezza («Il granellino di senapa è il più piccolo di tutti i semi…», cfr. Mt 13,32): attenti quindi alla tentazione della grandezza. Il Regno è, infine, una questione di nascondimento («Il lievito impastato con tre misure di farina», cfr.Mt 13, 34) : attenti quindi alla tentazione dello scoraggiamento.

«Spiegaci la parabola della zizzania nel campo» (Mt 13,36).

Ma soffermiamoci sulla parabola del grano e della zizzania. D’altronde è l’unica parabola della quale i discepoli chiedono spiegazioni, non perché non l’abbiano capita, ma perché l’hanno capita bene e non sono d’accordo. Innanzitutto è opportuno capire cosa sia la zizzania… È un’erba molto furba, appartiene alla famiglia delle graminacee (lolium temulentum) che si nasconde in mezzo al grano e sfugge all’occhio inesperto. È un pianta infestante che cresce a discapito del grano. La sua forma la fa’ somigliare allo stelo del frumento, ma i suoi grani sono tossici e hanno un effetto narcotizzante. La zizzania non è buona da mangiare né per l’uomo, né per gli animali e la sua sorte finale è il fuoco.

Ma la parabola del grano e della zizzania non è una lezione di agraria! Essa ci pone dinanzi ad alcuni interrogativi che da sempre, da che mondo è mondo, hanno attraversato l’umanità non facendole dormire sonni tranquilli: «Perché esiste il male? Perché Dio invece di intervenire sembra quasi dormire? Dove è la giustizia di Dio in un mondo in cui il male resta impunito?»di castighi a destra e a sinistra, raccomandandogli di passare oltre la nostra porta. Vorremmo un Dio più interventista, più capace, meno imbranato..

Alla fine quindi, alla domanda sul «perché nel mondo c’è il male?», la risposta di Gesù, la risposta della parabola, è che è necessario attendere, con pazienza, il momento della mietitura, il momento del giudizio finale, quando la zizzania, il male, verrà eliminata definitivamente. Là dove noi vediamo solo erbacce, erbacce da sradicare, il padrone fissa lo sguardo sul grano: il bene possibile è più importante del male presente.

«Verrà un giorno…» dice fra’ Cristoforo a don Rodrigo nel Sesto capitolo Dei Promessi Sposi . «Verrà un giorno…»dicono tutti i disgraziati e gli sconfitti della storia. «Verrà un giorno…»ci dice la parabola, un giorno in cui Dio scriverà, a suo modo e definitivamente, la parola fine alla storia del mondo. È «solo» questione di saper attendere. È «solo» questione di pazienza. È solo questione di far fare a Dio il suo mestiere. Dio non ha fretta. Dio attende. Dio è onnipaziente! Il Signore ci ripete la formula che a volte sentiamo nelle telefonate ai numeri verdi o di servizio di certi enti: «Attendere, prego!». Per Dio la storia non è il luogo del giudizio, ma il luogo della possibilità di convertirsi, prima che tutto diventi irreversibile. Per Dio la storia non è il luogo del giudizio, ma il luogo della possibilità di convertirsi, prima che tutto diventi irreversibile. «Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà. Forse non sarà domani, ma un bel giorno cambierà!», cantava Luigi Tenco (Vedrai vedrai, 1965). Sapete, la pazienza richiama il dolore (il patire, da cui deriva la parola) e l’attesa. Pazientare è attendere con dolore, sapendo che il male avrà fine. Viviamo sulla nostra pelle la contraddizione del male che coabita col bene, anche nei nostri cuori, e il Signore ci chiede di lasciar fare a lui.

Nonostante Dio ci abbia salvati, stentiamo ancora ad impararlo e a vivere da salvati. Ancora ora, dopo che abbiamo incontrato il Signore, il nostro cuore è il campo in cui c’è seminato il buon grano, ma anche il campo in cui cresce la zizzania. Siamo costretti a fare i conti con le contraddizioni che abitano il nostro cuore. Ma non scordiamoci mai che Dio sa attendere, sa attendere il pentimento di noi suoi figli, sa aspettare i ritorni dei figli. La sua porta è e rimane aperta. Basta un nostro gesto e le dighe della sua misericordia si spalancano. Lasciamo fare a Dio il suo mestiere, impariamo da lui a essere «onnipazienti» e lavoriamo perché al tempo della mietitura possiamo finire anche noi ammassati nei granai del cielo!